Palermo, 26 feb. (Adnkronos) – “Mio padre veniva chiamato dai detenuti ‘sbirro’ perché dava fastidio, c’era malcontento in Cosa nostra. Ed è stato punito con un’aggressione brutale, violenta che lo ha portato alla morte. Ora vogliamo che il cerchio si chiuda, vogliamo tutta la verità sulla sua morte”. Sono trascorsi undici anni dall’omicidio di Enzo Fragalà, il noto avvocato penalista ed ex deputato, aggredito sotto il suo studio, a due passi dal Tribunale di Palermo, con colpi violenti alla testa. Rimase per tre giorni in coma profondo e il 26 febbraio 2010 cessò di vivere. Oggi, la figlia Marzia Fragalà, anche lei avvocato, lo ricorda in una intervista all’Adnkronos. E’ appena uscita dalla Chiesa dove con i suoi familiari ha voluto ricordare il padre.
Per i giudici l’omicidio Fragalà fu una “punizione dei boss mafiosi”. Il 23 marzo del 2020, dieci anni dopo l’omicidio, la Corte d’assise di Palermo ha condannato Francesco Arcuri a 24 anni, Antonino Abbate a 30 anni, Salvatore Ingrassia a 22 anni e Antonino Siragusa, che poi ha collaborato con i magistrati, a 14 anni di carcere. Due le assoluzioni, “per non aver commesso il fatto”, di Paolo Cocco e Francesco Castronovo.
Fa fatica a parlare, Marzia Fragalà. Nonostante siano trascorsi undici anni il dolore è ancora forte. “Era un padre premuroso, attento, gentile, presente – dice oggi con un soffio di voce – voleva molto bene alla sua famiglia” e mentre lo dice mostra una fotografia in cui lei, ancora piccola, e il padre pattinano sul ghiaccio.
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