Sì del Senato alla riforma Gelmini \”Più meritocrazia negli atenei\”

 L’aula ha esaminato oltre 400 emendamenti, 80 dei quali presentati dalla maggioranza. Ora l’esame passa alla Camera.

Il ministro Gelmini in Senato ha espresso "grande soddisfazione per l’approvazione del ddl", definendolo "un evento epocale che rivoluziona i nostri atenei e che permette all’Italia di tornare a sperare". "L’università – ha aggiunto il Ministro – sarà più meritocratica, trasparente, competitiva e internazionale. Il ddl segna la fine delle vecchie logiche corporative: sarà premiato solo chi se lo merita".

Ricercatori. Neppure gli emendamenti apportati in corso di approvazione hanno stravolto i punti essenziali della riforma. A cominciare dal discusso limite temporale, di sei anni, che avranno i ricercatori per riuscire a fare propria l’abilitazione all’insegnamento come associato. In caso contrario, non potranno più continuare l’attività accademica.

Nessuna buona notizia neanche per i precari: l’accesso alla docenza non prevede infatti deroghe o sanatorie per i circa 20mila attuali ricercatori a tempo determinato. L’iter che saranno chiamati a seguire è lo stesso di quelli che approdano oggi negli atenei: per tutti c’è il rischio fondato (attualmente i posti destinati al turn over sono appena il 20%) di rimanere esclusi per sempre dall’attività accademica.

I fondi pubblici per la ricerca però verranno assegnati sulla base di una valutazione tra pari: la procedura, introdotta da un emendamento proposto dal senatore Ignazio Marino, prevede che a valutare i progetti siano dei comitati composti per almeno un terzo da professionisti che lavorano all’estero, così da garantire l’obiettività del giudizio.

Rettori. Anche l’incarico dei rettori avrà un limite temporale: fino ad oggi potevano rimanere in sella anche 16 anni, ma la riforma accorcia questo limite ad otto, prevedendo per i responsabili delle sedi accademiche un tetto massimo di due mandati da quattro anni ciascuno. Ed in caso di gestione non oculata potrà scattare, con il 75% dei voti, la sfiducia del senato accademico.

Professori ordinari. La riforma toccherà da vicino anche i professori ordinari, a partire da quelli a tempo pieno: per la prima volta saranno chiamati a svolgere attività formativa per almeno 1.500 ore nell’anno solare, di cui 350 di didattica. Per i docenti accademici inquadrati a tempo determinato, le ore di attività previste diventeranno 750: di queste, almeno 250 dovranno essere spese per la didattica.

Per chi fa attività didattica è prevista anche una valutazione: "I professori e i ricercatori – c’è scritto nel testo – sono tenuti a presentare una relazione triennale sul complesso delle attività didattiche, di ricerca e gestionali svolte". Se la relazione dovesse risultare negativa scatterà lo stop al previsto aumento stipendiale.

Concorsi. Novità in vista anche per quel che riguarda i concorsi che, nelle intenzioni dei realizzatori del ddl, diventeranno "meno pilotati dai baroni". Le selezioni saranno affidate a una commissione composta da quattro docenti ordinari estratti a sorte. Più rilevanza verrà data, rispetto ad oggi, alla produzione da parte dei candidati di pubblicazioni, esperienze internazionali, didattica svolta: a verificarne la rilevanza sarà una commissione ad hoc che potrà "acquisire pareri scritti pro veritate sull’attività scientifica dei candidati da parte di esperti revisori in possesso delle caratteristiche".

Chi passerà la selezione acquisirà l’abilitazione all’insegnamento ed entrerà a far parte di un’unica lista nazionale, da cui tutte le università italiane attingeranno, all’occorrenza, i propri docenti. I professori da prescegliere saranno eletti a loro volta da una lista di docenti ordinari del settore disciplinare oggetto del bando e da un solo ordinario nominato dalla facoltà che ha richiesto il bando.

Consigli d’amministrazione. Il ddl prevede anche nuovi consigli d’amministrazione, per il quale è previsto l’allargamento degli esperti esterni, (minimo tre) e che d’ora in poi si occuperanno solo della gestione dell’ateneo. Il senato accademico, invece, dovrà esaminare esclusivamente gli effetti della didattica e della ricerca. Negli atenei arriva poi per la prima volta il "direttore generale", a cui sarà affidato il delicato ruolo di gestione effettiva della struttura accademica.

Atenei. Prevista anche la fusione degli atenei più piccoli: con questa "mossa" il Miur cercherà, contemporaneamente, di ridurre le spese e migliorare l’offerta formativa. Ogni università potrà avere, ad esempio, non oltre 12 facoltà. Ed è prevista anche un’ulteriore operazione di "pulizia" dagli atenei dei mini-corsi accademici cui sono iscritti, a volte, anche meno di dieci studenti.

La riforma renderà difficile il mantenimento in vita degli atenei, delle facoltà e dei dipartimenti accademici meno efficienti: tanto per cominciare, per quelli "in rosso", con seri problemi finanziari, scatterà il commissariamento. E le università che continueranno a far confluire oltre il 90% dei finanziamenti statali (fondo di finanziamento ordinario) negli stipendi del personale, non potranno bandire concorsi. Infine, il 7% dei fondi che annualmente lo Stato trasferisce alle università verranno stanziati solo se darà l’assenso l’Anvur, la nuova Agenzia nazionale di valutazione dell’università, istituita di recente dal governo per classificare gli atenei in base al merito.

All’Anvur, "nel rispetto del principio della coesione territoriale del paese", spetterà in particolare verificare e valutare "i risultati secondo criteri di qualità, trasparenza e promozione del merito, anche sulla base delle migliori esperienze diffuse a livello internazionale, garantendo una distribuzione delle risorse pubbliche coerente con gli obiettivi, gli indirizzi e le attività svolte da ciascun ateneo".

Meritocrazia. Ed il merito sarà sempre più determinante anche per la carriera degli studenti: coloro che dimostreranno maggiori capacità e competenze, attraverso le risposte a test nazionali standardizzati, saranno beneficiari di un fondo (statale, ma anche regionale ed eventualmente privato) che erogherà borse di studio. Il tutto, a prescindere dal livello economico della famiglia di provenienza. Rimarranno in vita, comunque, le borse di studio rivolte agli studenti meno abbienti (appartenenti a famiglie al di sotto di 15mila euro).

La Repubblica 30 Luglio 2010

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