UN EPISTOLARIO: ANTON CECHOV E OLGA KNIPPER.

Stessa scenografia, stessi interpreti, stesso testo eppure tutto sembra mutare, la seconda volta. Uno spettacolo teatrale( così come un’opera d’arte pittorica) può aprire spiragli, nella mente dello spettatore, sempre diversi, ogni volta che si ha modo di ‘rivederlo’.“Una storia d’amore”, pièce tratta dal carteggio tra lo scrittore Anton Cechov e l’attrice Olga Knipper, in tournée per la seconda ripresa, ‘scivola’ sul palco leggera, fra ritmi, pause, riflessioni, tristezze,sorrisi. Le parole delle missive non appaiono “lette”: si ha la sensazione che ‘volino’, ballando tra commozione e dolcezza, da una parte all’altra di quella scena doppia. Lui medita, scrive, soffre per la sua malattia-senza mai troppo dirlo, però…- e per il forzato ritiro a Yalta, muovendosi tra una finestra, una scrivania appena illuminata e una stufa.Lei,volitiva, sfavilla con la sua esuberanza, nei camerini dei teatri dove interpreta i personaggi che Anton cerca di ‘cucirle addosso’..Si muove tra ansie, successi, critiche, applausi .Mai, tuttavia, abbandona il suo Anton:”Non ti arrabbiare,caro..Scaccia lontano da te i pensieri inutili…Scrivi e ama ciascuna tua parola, ciascun pensiero, ciascuna creatura che coltivi e sappi che tutto questo è indispensabile all’umanità…Non scoraggiarti, scrivi la pièce ti supplico! Io ti comprendo tutto, profondamente…ti sento…”. Così lo sprona Olga quanto talvolta in lui si smorzava la spinta a scrivere le opere. Opere che ‘appartenevano’ ad entrambi e costituivano quella trama via via sempre più fitta che rafforzava e donava nuova linfa al loro già appassionato amore.Si percepisce appena dalle parole( poche, in verità, come Cechov voleva : “La brevità è sorella del talento”) e da poche battute, il mondo che li circonda. E’ un’epoca di forti contraddizioni e cambiamenti, falsi moralismi e i segni già palesi di un’ imminente rivoluzione. Tutto, intanto, è solo sapientemente citato perché, su tutto, domina la loro ‘storia d’amore’. Diversamente non poteva intitolarsi, questa pièce. S’incontrano, quando possono, Anton e Olga: passeggiano in riva al mare, ‘posano’ per foto di rito in incontri mondani ammiccando sorrisi sornioni perché sanno che quello che conta ‘davvero’ è il loro legame. Così semplice, così tenace da superare le difficoltà della lontananza, le critiche dei benpensanti, il dolore.Il letto, al centro della scena,”bicolore” come le loro vite parallele ne è un po’ anche il simbolo. Lì ,i tanto desiderati incontri carnali;lì le tenerezze e gli sfoghi, le paure, le speranze, i rimorsi. E sempre le parole diventano azioni e le azioni diventano parole, semplici, come quelle di tutti gli innamorati, di tutte le epoche…..Non facile ‘ridurre’ ben 400 lettere dense di particolari del ‘quotidiano’ nonché di umori e sensazioni. La regista Nora Venturini ci è riuscita bene, attraverso dialoghi fatti di frammenti di parole dirette o oblique, di rotture di tono, di slittamenti, di divagazioni, in un ordine che sembra essere quello della vita stessa. La storia assume inoltre una connotazione , se si vuole, anche gioiosa: il tema della morte del protagonista, prevista e consapevolmente attesa, ‘mai’ incombe sulla scena, nemmeno quando arriva, improvvisa. Olga, infatti, lo ‘evoca’ soltanto, quel distacco, che non sarà mai definitivo: il loro amore continuerà a vivere, attraverso il Teatro e le lettere che scriverà ad Anton per gli anni a seguire pur se ‘lui’ non c’è più.Questo, in fondo, lo scrittore Anton Cechov voleva fosse un’opera teatrale: un racconto di vite ‘suggerito’ da piccoli, essenziali cenni; un realismo immaginato ed immaginabile. Tutto lo spettacolo- oltre che dai bei costumi , le luci, le musiche, le voci ‘fuori campo’- attinge la sua suggestione e la sua coinvolgente carica emotiva dalla generosità interpretativa degli attori. Lorenza Indovina dona alla sua Olga il brio e la passionalità dell’attrice del nuovo teatro russo. Giulio Scarpati convince, ancora una volta, per la sua salda, pacata, ma energica espressività di bravo interprete di teatro, padrone della scena;lascia trasparire, tra alterni toni, il ‘lavoro’ minuzioso sul suo personaggio. C’è “l’uomo” Cechov, e la sua dignità di fronte al dolore, una dignità che è assolutamente umana prima che artistica.”Prendi qualcosa dalla vita reale, d’ ogni giorno, senza trama e senza finale”,diceva lo scrittore: Cechov seppe dipingere la vita così com’ era facendo, proprio della letteratura, uno strumento fondamentale di rivendicazione di uno dei beni più preziosi dell’ umanità: la libertà. E qui la libertà, la leggerezza dell’amore, della gioia ma anche ,paradossalmente,della sofferenza sono ‘date’ a piene mani.Si va via, a fine spettacolo, con la piacevole convinzione che il teatro può ancora, per fortuna, profondamente emozionare! ANNA MAFFEI

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