Arcangelo Lobianco e Alfredo Diana, (già presidenti nazionali Coldiretti e Confa

Assente per un malanno fisico Giuseppe Avolio, emerito presidente della CIA, rappresentato in Sala dal presidente provinciale Aurelio Grasso, la presentazione è stata svolta dal prof. Ennio De Simone dell’Università sannita, dall’on. Roberto Costanzo, presidente del Comitato del MUSA, dal presidente della Camera di Commercio Gennarino Masiello, dall’assessore provinciale all’agricoltura Alfonso Ciervo, dai presidenti del Consiglio e della Provincia Donato Agostinelli e Carmine Nardone. I lavori sono stati moderati da Luciano Lombardi. Questi ha descritto il MUSA come un polo didattico ed un laboratorio di ricerca che nasce con la ambizione di cambiare il futuro di una provincia, a torto dimenticata, e che vuole riscattare se stessa con le sue proprie forze. Il MUSA, nato da un progetto della Provincia, si è sviluppato sugli apporti di altri enti ed istituzioni: come ha spiegato, De Simone non è un Museo tradizionale, ma un luogo dove riflettere e capire, anche attraverso la multimedialità, uno dei passaggi cruciali della storia dell’umanità, quello della meccanizzazione in agricoltura che ha consentito, ha ricordato De Simone, di alimentare una quantità di individui inimmaginabili solo agli inizi del secolo scorso, potendone oggi potenzialmente servire ben 6 miliardi. Secondo Costanzo, il MUSA organizza in un magnifico contesto strutturale, ambientale e paesaggistico dell’Istituto per l’agricoltura “Mario Vetrone”, un laboratorio per la rappresentazione di quello che l’agricoltura è stata e del ruolo che si prepara a svolgere nella società della tecnologia e dell’informazione del terzo millennio. La modernizzazione dell’agricoltura va bene, ha concluso Costanzo, ma se manca un intervento sul piano della cultura e della formazione, non si faranno passi in avanti e per questo occorre, citando Winston Churchill, guardare bene nel passato, per costruire meglio il futuro. Il presidente della Camera di Commercio Gennarino Masiello ha affermato che lo sviluppo del Sud dipende dalla sua capacità di innovazione e avendo sempre ben presente l’umiltà del confronto aperto con le altre realtà al fine di elaborare strategie di sviluppo. Il Mezzogiorno e il mondo rurale hanno dei valori: su questi dobbiamo puntare per conseguire la qualità, che significa produrre meglio tutelando il territorio e le sue tradizioni. Sull’esperienza del passato, ha concluso Masiello, potremmo costruire meglio le dinamiche di trasformazione del futuro. Carmine Nardone ha voluto rimarcare, infine, il perché, in occasione dell’inaugurazione del MUSA, sia stato assegnato il Premio “MUSA UNICO” ai protagonisti dell’Associazionismo agricolo del secolo scorso: si tratta di un riconoscimento che viene dato solo in questa circostanza, ha detto, mentre il Premio “MUSA” vero e proprio sarà annuale. L’indicazione a favore di Arcangelo Lobianco, Alfredo Diana, e Giuseppe Avolio si spiega, ha detto Nardone, perché i tre erano galantuomini che perseguivano l’interesse generale del Paese e non quello della parte politico-sindacale di cui pure erano espressione. Il Mezzogiorno – ha affermato Nardone – non ha bisogno dell’usato, cioè non deve usare ciò che è stato inventato altrove; ma, invece, deve essere libero di inventare le proprie originalità e qualità esclusive. Dopo la premiazione, Diana ha detto: il nostro secolo è stato breve; ma ha rivoluzionato il mondo e l’agricoltura, che oggi appare un settore marginale. Noi, però, abbiamo fatto bene a tenere alta la fiaccola della categoria dei coltivatori, i quali hanno salvato l'”ambiente” rurale ed hanno reso possibile il ritorno d’interesse dalle grandi metropoli sovraffollate ai piccoli centri: “per questo – ha concluso Diana – io credo che noi agricoltori abbiamo ancora un futuro. Io sono giunto alla fine della corsa, ho combattuto una buona battaglia e ho conservato la fede”. Lobianco, dal canto suo, ha parlato con amarezza di una società che premia solo chi è più egoista, mentre, ha spiegato, “il nostro sforzo di sindacalisti è stato quello di considerare non il proprietario, ma l’uomo nel lavoro della terra: l’unità che inseguivamo nelle campagne, non era la sommatoria di molte cose, ma la ricerca di valori comuni e progetti di sviluppo, e potevamo farlo perché eravamo in contatto con l’uomo. Siamo stati liberi da condizionamenti politici: e non mi pento di questo, anche se ho pagato, perché noi abbiamo dimostrato che i coltivatori italiani sono soggetti economici e politici. Non è l’economia che deve condizionare l’uomo, ma l’uomo, l’economia”.

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