**Governo: Sapelli, ‘misure finora ragionevoli, ma su Ita serve un cambio di paradigma’**

Milano, 11 nov.(Adnkronos) – Le misure fin qui adottate dal governo Meloni “sono ragionevoli, anche se io francamente mi sarei occupato di più di emergenza energetica e relazioni internazionali”. Su Ita e Tim, poi, “non ho idea di come andranno a finire le partite, ma sono convinto che bisognerebbe cambiare radicalmente la filosofia che abbiamo del concetto di imprese di Stato”. A parlare all’Adnkronos è l’economista Giulio Sapelli, che illustra le sue idee a proposito del governo e della gestione dei dossier più complicati, primi fra tutti Ita Airways e Telecom Italia.

“A parte la decisione di reintegrare i medici no vax sul posto di lavoro che, devo essere sincero, mi ha lasciato un po’ perplesso -afferma Sapelli- ciò che ha fatto il governo Meloni finora mi sembra in continuità con la politica Draghi; non vedo nessuna novità di rilievo: atlantismo, liberismo, una politica più di sussidi che di investimenti. Non mi soddisfa, anche se non mi aspettavo nulla di diverso, dal momento che con il pilota automatico diventa molto difficile pensare qualcosa di diverso”. Forse “avrei fatto più attenzione alla questione dei migranti, che astrattamente è giusta, ma era logico aspettarsi che avrebbe creato delle frizioni internazionali”. Del resto “Macron è molto indebolito, abituato a un rapporto con l’Italia di forte subalternità, come prova il cosiddetto ‘trattato italo-francese’, mai discusso dal parlamento. Per problemi interni che lui ha, non ha una maggioranza parlamentare, alla sua sinistra ha dei grandi problemi, era prevedibile che avrebbe reagito in questo modo”.

Su Ita e Tim, “non ho francamente idea di come andranno a finire queste due vicende; è partita male sin dall’inizio, sbagliata fin dalle privatizzazioni fatte, male, dal governo Prodi e da chi è venuto dopo. Su di esse pesano vent’anni di errori, uno dopo l’altro. Ora diventa davvero difficile risolverle, soprattutto dopo la lotta per le nomine, come è accaduto con Altavilla (l’ex presidente di Ita, che lo scorso 7 novembre ha rassegnato le sue dimissioni, ndr)”. Certo, osserva, “non si trattano così le imprese di Stato. La responsabilità dei governi precedenti sono enormi e ora ne condizionano fortemente l’andamento. Bisognerebbe proprio cambiare la filosofia che abbiamo del concetto di imprese di Stato, che non possono più essere né quella della privatizzazione selvaggia, che non funziona, né quella della vecchia Iri. Occorrerebbe ripensare al problema dei ‘common goods’, della proprietà pubblica; insomma ci vorrebbe un cambio di paradigma”.

“Negli Stati uniti e in Inghilterra, ad esempio, c’è un gran dibattito; in Italia invece manca del tutto. Perché da noi si discute di tutto, tranne che delle cose importanti, soprattutto da parte degli economisti”. D’altra parte, “in un mondo ossessionato solo dal debito, non si discute più di politica industriale. Parlare di programmazione, anzi, oggi è considerato una bestemmia”. E allora, “in questi termini, rispondere a cosa si dovrebbe fare con Ita e Tim in due minuti diventa impossibile. E’ un baratro che hanno aperto i governi; da Bersani a Letta è stata una vera catastrofe”. Tuttavia, “ciò che ha detto il ministro Urso a proposito di Ita, e cioè che ‘non è più una compagnia statale, ma è pur sempre la nostra compagnia di bandiera’, mi fa davvero piacere. Conferma ciò che penso di lui, in tutta modestia”.

Soprattutto, “bisognerebbe chiedersi se un grande Paese manifatturiero come il nostro possa pensare di non avere una compagnia di bandiera. Come se il processo di deglobalizzazione in corso non ci avesse insegnato nulla. Io -rimarca l’economista- non credo che dobbiamo rassegnarci ad andare tutti in treno per risparmiare la Co2, eliminando totalmente gli aerei”. E “non si può continuare a sentire battute come ‘è finita a pagare Pantalone’, non si possono gestire questioni come queste con gli slogan. Bisogna piuttosto mettersi seriamente a un tavolo e pensare a come avere una proprietà pubblica in condizioni economico finanziarie diverse”. Perché “la proprietà pubblica, su alcuni beni essenziali, è fondamentale. Si tratta di beni strategici e non ci si può rinunciare.

Il discorso è invece diverso per Tim: “La tecnologia è andata molto avanti e ci consente ormai di non avere più una rete unica. Lavorare con i campi magnetici è molto diverso che lavorare con macchine che volano. In ogni caso, molto dipenderà dalle scelte politiche che si faranno. E su questo -conclude- non sono per niente pessimista”.

ARTICOLI CORRELATI