Il Pres. Vigorito a 360°: “Ho pensato di mollare. Ugolotti e Laneri…”

Non abbiamo fatto ancora nulla, rischiamo di perdere di vista il nostro obiettivo che, per adesso, rimane ancora la salvezza". E ancora: "Ho pensato di mollare, ma sono rimasto in sella anche per quello che ho visto fare ai tifosi contro il Catanzaro". Il chiarimento: "Non sono un politico, non cerco appalti, non mi interessa la celebrità. Ho solo profonda stima e ammirazione per la parte sana del tifo, quello vero, quella che ad Avellino è stata per ore a cantare sotto la pioggia. Senza di loro io che ci sto a fare?". L’atto di fede: "Un campionato di Lega Pro è molto più bello ed emozionante vincerlo qua che in altre piazze, per il solo fatto che sarebbe un evento storico". "Non è la Curva Sud che deve essere orgogliosa della squadra, ma è la squadra che deve essere orgogliosa della Curva Sud".

Qual è stato il momento in cui è stato più vicino a mollare?
Circa un mese e mezzo fa, quando ho capito che neppure la scelta di Ugolotti stava producendo risultati. L’apatia e il grigiore che aleggiavano nell’ambiente e nello spogliatoio mi avevano coinvolto in maniera notevole. Il viaggio con la mia famiglia durante le festività natalizie mi ha dato l’opportunità di staccare la spina e di avviare una seria riflessione sul da farsi. Così ho trovato la forza e gli stimoli per ripartire. Ma non nascondo che dopo la sconfitta interna col Perugia ho pensato di disimpegnarmi, affidando la gestione societaria ad un manager, in attesa di maturare una scelta definitiva.

 

Quanto l’ha fatta infuriare e cosa le ha insegnato la vicenda-Paoloni ?
Mi fece arrabbiare innanzitutto il tipo di aggressione mediatica che abbiamo subito. Sono un convinto sostenitore della verità, chi ha responsabilità è giusto che paghi, ma il coinvolgimento oggettivo di una società, in un calcio moderno che ha abdicato ad ogni di regolamentazione della vita di un calciatore oltre i confini dello spogliatoio, non garantisce equilibrio nella valutazione del singolo caso. Fui sorpreso anche dalla tempistica del provvedimento. Non tanto per l’assenza di Paoloni nel playoff con la Juve Stabia, quanto per il clima in cui fummo costretti ad affrontare la semifinale, turbati da un arresto e dalle voci che circolavano sulla condotta di altri calciatori poi risultate veritiere. Penso che avrei dovuto essere molto più accorto, mi sono sentito in colpa perché Mariotto lo avevo scelto io come uomo di fiducia, ma credo che se ci fosse stato mio fratello Ciro, forse Paoloni non l’avremmo mai preso. Per come era meticoloso, avrebbe capito che l’affare era troppo vantaggioso per essere davvero tale. Quando un imprenditore di successo entra nel calcio il rischio di essere circondato da persone che mirano ai propri interessi diventa altissimo.

 

Questa cosa la rende diffidente, consapevole o più esigente?
 
Non bisogna partire dall’idea che il calcio sia un mondo corrotto, ma puntare a trasferire nel calcio la propria mentalità imprenditoriale, con la non trascurabile differenza di una partecipazione straordinaria della comunità che si riconosce in quella squadra. Andare allo stadio e vedere un bambino sorridere, dare e ricevere emozioni, sono questi i motivi che ti portano ad investire il tuo tempo e il tuo danaro in un’impresa disperata, dove economicamente puoi solo rimetterci. Chi col calcio ci campa questi ragionamenti non li può fare, perché deve badare a portare lo stipendio a casa alla fine del mese. E’ per questo che guardo con diffidenza a tutti coloro i quali hanno a che fare con il calcio: giornalisti, direttori sportivi, procuratori, allenatori. Quando un procuratore si siede davanti a me, mi fa l’elenco di tutti i calciatori che ha lanciato, ma non fa mai un cenno a quelli con i quali ha fallito…

Si racconta che non le piaccia essere contraddetto e che difficilmente cambi idea. Ma si dice anche che ascolti troppo quelli che le stanno intorno e che sia un tipo estremamente "umorale". Come vede le idee sulla sua personalità sono confuse e discordanti. Dove sta la verità?
Nella vita privata sono diverso, ma nel lavoro ho una metodologia di approccio al mio interlocutore. Non è vero che non ascolto nessuno. Delego totalmente la gestione dell’ordinario alle persone di fiducia. Quando questa viene meno, il rapporto si intende concluso. In 7 anni ho perso stima in tanti collaboratori, alcuni dei quali erano anche amici. Quando c’è un problema, convoco una riunione di consultazione dove ognuno ha il diritto di dire ciò che vuole. Non posso però ritenermi responsabile se qualcuno in quella sede tace oppure non dice la verità. I miei collaboratori, a differenza di quanto si dice in giro, non sono persone che dicono sempre sì. Però pretendo la massima condivisione, e se io la penso diversamente sono pronto a ricredermi. Se invece nasce una maggioranza ma non c’è unanimità, questa deve coincidere anche con la mia idea. Altrimenti scelgo io. Nel Benevento Calcio si usa così, ognuno conta per il ruolo che occupa. Non sono un dittatore, ma una persona che vuole essere coinvolta nei processi produttivi.

Le si riconosce di non aver mai badato a spese per attrezzare squadre competitive, ma la si accusa di aver spesso utilizzato male i suoi soldi. Questa cosa le dà fastidio o la fa sorridere?
Mi fa sorridere. E’ il sentimento che di solito prevale in chiunque stia dall’altra parte della scrivania. Non ho tutti questi soldi e non li spendo tanti per spenderli. Certo ho preso parecchi bidoni, ma non tanti quanti ritiene l’opinione pubblica. Diversi acquisti sono stati gestiti male, basta guardare i traguardi raggiunti quando poi sono andati via e su questo ha inciso anche l’assenza di mio fratello. Paradossalmente i risultati migliori sono arrivati nei primi anni, quando ero meno disincantato e la società non aveva ancora la corposa struttura che ha adesso.

Quanto pesa nella sua vita l’assenza di suo fratello e quanto sta pesando nella gestione della società?
Ciro mi manca solo fisicamente, perché per il resto ce l’ho accanto in ogni momento della giornata. Le nostre erano due vite parallele, che poi finivano sempre col ricongiungersi sullo stesso binario. Mio fratello era il mio "Avatar". Ci confrontavamo tutti i giorni e mi metteva al corrente di tutto. Ciro manca soprattutto al Benevento Calcio perché lui "era" il Benevento Calcio. Mi proteggeva da tutte quelle cose che mi stavano spingendo ad andarmene. E proteggeva anche il Benevento. Ad ottobre 2010 sono dovuto ripartire da zero. Ho spiegato ai collaboratori che le architravi su cui mio fratello aveva organizzato questa società non le avrebbe mosse mai nessuno. Ma che però io non avrei mai potuto essere mio fratello. Nessuno può essere un altro. Io posso solo cercare di portare a termine quello che lui si era ripromesso di fare.

Ha sempre avuto un rapporto di odio-amore nei confronti della stampa. Visto che ha acquistato un quotidiano, quale delle due componenti ha prevalso in questa scelta?
Non posso odiare i giornalisti, mio fratello era uno di voi. Tra i suoi sogni c’era quello di fare un giornale. E’ per questo che ho scelto di rilevare Ottopagine. La testata era in crisi, i redattori non ricevevano lo stipendio da alcuni mesi, erano due anni che non percepivano contributi. Un vecchio amico di famiglia, Salvatore Biazzo, mi ha chiesto di dare una mano ed io l’ho fatto. Ma così com’è per il Benevento Calcio, non mi serve per un ritorno di immagine o per detenere un potere occulto. Dalla vita ho ricevuto più di quello che ho dato, non ho mire segrete. Ma non amo la falsità e ricuso quello che il giornalista perde l’occasione di rappresentare. So di essere più esposto agli attacchi perché cerco di fare da parafulmine verso la squadra, ma in alcuni casi ho la sensazione di non ritrovarmi di fronte a professionisti, ma a qualcuno che invece di far emergere la verità, si lascia condizionare dal pregiudizio. E lo faccio notare, tutto qua.

Si dice che Ugolotti e Laneri li avesse suggeriti il diesse del Catania Nicola Salerno. Quali i fattori che l’hanno spinta a mandarli via?
Non ho mai incontrato Nicola Salerno. So che è un buon direttore sportivo e che è amico di Loschiavo, ma non ci ho mai parlato. Tra i vari nomi che mi erano stati sottoposti, chiesi a Landaida notizie di Ugolotti, visto che era stato alle sue dipendenze a San Benedetto e me ne parlò in termini positivi. Alla fine l’ho scelto perché, a differenza di altri, mi chiese un contratto fino a giugno e non un biennale e mi disse che avevamo un ottima rosa e che era disponibile ad adattarsi ai calciatori. Poi però man mano che le settimane passavano notavo che faceva il contrario. Cercava di adattare il calciatori al suo modulo. Pensavo che non potesse realizzare ciò che aveva detto per i troppi infortuni e le squalifiche, per cui lo lasciavo fare. Oltretutto la gente neppure mi chiedeva di mandarlo via. Quando sono partito per il mio viaggio di fine anno, sono però successe due-tre cose che mi hanno fatto riflettere profondamente. Così al mio ritorno ho deciso di parlare con Ugolotti, l’Ugolotti allenatore, quello con il quale non avevo mai parlato. Io avevo affidato le chiavi dello spogliatoio al signor Ugolotti sulla base di informazioni fornite da altri, e avevo puntato sulla persona, perché nel discorso tecnico in precedenza non ero mai voluto entrare, altrimenti mi dite che mi intrometto troppo. Ma non avevo più alternative. Ne parlai con Loschiavo e gli dissi: voglio incontrare il mister, ma non intendo esonerarlo, però devo capire cosa sta accadendo. Prima però ho chiesto di incontrare i calciatori, i preparatori, il team manager per capire cosa pensassero loro. Ugolotti quando è entrato in questa stanza non era stato esonerato. Quando è uscito sì. Quel famoso giovedì mattina eravamo qui in sala riunioni. Lui era seduto dove sta lei, ed io da quest’altra parte. Mi disse che aveva dei problemi con alcuni giocatori, qualcuno di loro aveva bisogno di essere educato e che una decina dovevo toglierglieli di torno. Mi parlò di tutta una serie di situazioni per le quali, l’Oreste Vigorito di qualche anno fa, lo avrebbe cacciato via litigandoci perché coinvolto emotivamente e senza neppure continuare a parlarci, e avrebbe mandato via anche Loschiavo. Tonino sta qua presente (il diggì era entrato in stanza qualche minuto prima, ndr) e sa che avrebbe dovuto essere più incisivo in mia assenza, ma lo giustifico perché ha commesso il mio stesso errore: fino a quel momento avevamo rispettato le gerarchie per non sentirci dire che siamo invadenti, che vulimm fa tutt cos nuie. Nel proseguire il discorso Ugolotti aggiunse, tra le altre cose, che si aspettava 4-5 acquisti, che avrebbero dovuto aggiungersi ai 18 che intendeva confermare. Gli dissi: va bene, nonostante sapessi che quei 10 mi sarebbero rimasti quasi tutti sul groppone e saremmo arrivati a 32-33 in organico. Poi gli chiesi: lei mi garantisce che con questi 4-5 innesti e i 18 che intende tenere, non dico che andiamo ai playoff, ma almeno che ci salviamo? Sa cosa mi ha risposto? No, io non posso assicurarle niente, perché pure di questi 18, stanno qua sì, però non ho fiducia di loro. Ed io: scusi, ma lei come pensa che io, dopo queste affermazioni che lei sta facendo, possa mandarla in panchina per la partita contro il Catanzaro? E lui: presidente ma io non capisco, lei non ha fiducia in me per la scelta dei calciatori, per gli allenamenti… Io lo interruppi e gli dissi: io la sto ascoltando, non ho tratto ancora nessuna di queste conclusioni. Ma visto che lei le sta traendo da solo e magari io sono pure d’accordo, allora cosa fa, si dimette? E lui: no, io adesso vado a dirigere l’allenamento. Ed io: vabbè, lei allora fa l’allenatore come gli altri, si accomodi. E fu esonerato. Ormai era diventato asettico, ma talmente asettico che ci avrebbe fatto sprofondare in Seconda Divisione. A Laneri ho fatto un contratto di tre mesi. Lui pensava di dover essere riconoscente verso Ugolotti per essere arrivato qui. L’ho messo alla prova. Doveva dimostrare le sue competenze rapportandosi alla squadra, all’allenatore, allo scouting e al mercato. Non mi ha soddisfatto e non è stato confermato. Ha pagato l’esito della trattativa Giordano-Spinelli? Certo quello è stato un suo grande errore tecnico, ma c’è stata anche mancanza di correttezza del direttore sportivo del Trapani che aveva dato la sua parola. Sono stati poco corretti, come lo è stata la Cremonese nell’affare Marotta. Eravamo d’accordo che loro prendessero Altinier, ma poi si sono tirati indietro. Io però avevo dato la mia parola a Marotta, perché lo avevo sentito telefonicamente e mi aveva fatto capire di essere entusiasta di tornare al Sud per avvicinarsi a casa. Siccome sono abituato a mantenere la parola, ho dato disposizioni affinché lo ingaggiassimo indipendentemente da Altinier. Penso che si sia capito che io da un po’ di tempo a questa parte prendo solo giocatori che dimostrano di essere orgogliosi di vestire la casacca giallorossa. Altrimenti rischiamo di trovarci davanti gente come Baldanzeddu, che nell’estate 2011 era in questa stanza a firmare il contratto, lo chiamarono a telefono che lo voleva la Juve Stabia e si allontanò per non tornare più, lasciando finanche la carta d’identità qui sul tavolo. Era qui dal giorno prima, aveva rilasciato delle interviste da giocatore del Benevento e si era messo anche la maglietta addosso per farsi delle foto. Una cosa del genere non accadrà mai più.

C’è chi sostiene che a lei non piaccia delegare e che sia uno abituato a mettere bocca in ogni cosa e a prendere decisioni sempre in prima persona. Ha mai pensato di ingaggiare un direttore sportivo di grido, mettergli a disposizione un budget, fissargli un obiettivo e a fine stagione tirare le somme?
No. Non lo farò mai. Ma non perché non intenda delegare. Credo che un direttore sportivo debba crescere insieme alla società. Non mi basta che sia un esperto di almanacchi o che appenda i calciatori al muro, io cerco uno che sappia cosa fare nel momento in cui lo deve fare. Finora uno così ancora non l’ho trovato. Se non lo conosco profondamente non gli darò mai le chiavi della società. Pavone? Non faceva al caso nostro, lo chiamerò quando deciderò di fare una squadra di ragazzini. Di Somma? Ha un vantaggio enorme, lo conosco da 40 anni. E’ onesto e competente oltre che un amico. Mi ha consigliato Davì ad inizio campionato, insistendo col dire: il mister qui non lo fa giocare, prendilo che è un ottimo incontrista per la Lega Pro. Io neppure lo conoscevo e gli dissi: Salvatò, ma mo’ chi è stu Daví? Mi sono lasciato convincere, pensavo di aver fatto un piacere a lui e invece è stato lui che lo ha fatto a me. Io mi sono ricreduto su Davì, voi giornalisti gli avete dato addosso quando ha sbagliato una partita, alla prima apparizione, ma non ricordo d’aver letto qualcuno che abbia ammesso l’errore di valutazione (per quanto ci riguarda, in quella pagella avevamo scritto che non era funzionale al progetto, perché come si evince anche dalle sue parole non era stato richiesto dai tecnici e non era neppure una scelta sua o di Loschiavo, semplicemente era una cortesia fatta all’amico Di Somma, ndr). Comunque con Di Somma ci siamo fatti una bella chiacchierata. Forse in futuro potrà nascere qualcosa di concreto. Non è vero che sono uno a cui non piace delegare, questa società con 61 tesserati, per come è ramificata, è la prova concreta della mia capacità di delegare. Altrimenti perché dovrei avere 61 persone a stipendio? E non le utilizzo certo per riciclare danaro, come dice qualcuno. Non devo riciclare nulla. Un direttore sportivo non c’è perché non l’ho trovato. Ho tenuto Mariotto per oltre 4 anni perché aveva esperienza e soprattuto era una persona onesta. Ogni volta che qualcuno va via da questa società è perché ha perso la mia stima, non perché è incapace. Io purtroppo sono un generoso e mi tengo anche gli incapaci. Solo che quando mi accorgo che sono tali, in tutte le mie aziende, gli trovo un’altra collocazione. Li metto a fare un’altra cosa. Nella mia vita non ho mai licenziato una persona per incapacità. Anche perché se dovessi cacciar via un incapace, comincerei a pormi il problema di essere stato incapace pure io a selezionarlo. Allora dico: mo’ vedo si o pozz salvà, e cerco di metterlo in un posto dove non possa fare danni. Mariotto l’ho difeso ad oltranza perché pensavo che lui ci potesse accompagnare per lungo tempo ancora, perché credevo rappresentasse l’equilibrio in una società multivariegata come la nostra dove ognuno ha ruolo, e non c’è un "dominus". Poi abbiamo capito che non era più così e ci siamo privati della sua opera. Un altro direttore sportivo allora varcherà quella soglia, quando potrò dire di conoscerlo sufficientemente da incarnare quel tipo di persona di cui ho parlato prima. Anche perché, e non è polemica, non faccio politica, non prendo appalti, non vado in mezzo alla gente per farmi dare una cosa di soldi, non faccio collette, se mi togliete pure lo sfizio di gestire la società io che lo faccio a fare il presidente? Per andarmi a vedere la partita? Se così fosse me l’andrei a vedere al San Paolo, ad un chilometro da casa mia, e tra l’altro non mi toccherebbe neppure pagare il biglietto…

Perché ci ha messo tanto a convincersi che un confronto squadra-tifosi potesse produrre effetti positivi?
Potrei risponderle che i regolamenti non lo prevedono. Ma sarò sincero, non è che io ho aspettato troppo tempo. La realta è che c’erano troppi gruppetti disseminati allo stadio ed ognuno di loro portava avanti una tesi diversa. Avrei dovuto organizzare più incontri. Era come se ci fosse una tifoseria che sosteneva i presidenti ma non la squadra. Non è quella la tifoseria che avrei dovuto mettere a confronto con la squadra e non sono nemmeno i 20 mila presenti col Crotone. Quella era gente che era venuta ad assistere ad uno spettacolo. I tifosi veri sono quelli che sono stati per ore a cantare sotto la pioggia ad Avellino. Quelli che poi si sono rimboccati le maniche ed hanno superato divisioni inutili e si sono messi accanto alla squadra a scatola chiusa. In passato avevo avuto qualche timido approccio con una parte di tifoseria, poi subito strumentalizzato dall’altra e allora ho lasciato perdere. Ho cominciato a pensarla diversamente quando ho appreso, con sommo piacere, che si erano ricompattati. Quello che hanno fatto gli ultras nella partita col Catanzaro è qualcosa di meraviglioso, di indescrivibile. Non a caso poi, ad Avellino, è stata la prima volta che mia figlia ha dichiarato di sentirsi giallorossa, la prima volta che ha sentito veramente un brivido che l’ha pervasa. Mi riferisco a quando è passata sotto la curva ospiti. Io al Partenio non sono andato perché l’anno scorso dissi che non ci avrei messo più piede, mia figlia si è seduta in tribuna al posto destinato a me e si è presa gli insulti che avrebbero indirizzato a me se fossi stato lì. Oggi so di avere una curva che è vicina alla squadra, è vero, lei spingeva sulle colonne de Il Mattino perché avvenisse il confronto, ma io in quel momento non potevo dare l’assenso perché non avevo la certezza che ci fossero davvero le condizioni.

Oltre alle opinioni positive raccolte tra gli addetti ai lavori, cosa l’ha colpita di Carboni al punto da spingerla ad ingaggiarlo?
La rabbia. Carboni è incazzato col mondo del calcio peggio di quanto lo ero io qualche settimana fa. Ha pagato lo scotto di essere arrivato troppo presto in serie B, gli sono state affidate sempre squadre derelitte, che versavano in condizioni di classifica preoccupanti, in alcuni casi impossibili da salvare. In qualche circostanza ha fatto bene e raggiunto l’obiettivo, in qualche altro meno, ed è stato esonerato. Mi ha fatto capire di essersi preso mazzate sui denti e che ora vorrebbe tornare in B con un’esperienza diversa e possibilmente arrivarci da vincente, se non altro per provare che effetto fa. Allora era un giovane ambizioso in attesa di maturare, oggi è molto più scafato. Caratterialmente mi ha ricordato Antonio Soda che ora sta allenando alla Vibonese in D, e che se avesse potuto avere la deroga avrei chiamato al posto di Ugolotti. In una situazione del genere mi serviva quel tipo di allenatore, uno con le palle. Fino ad oggi non abbiamo avuto la fortuna di avere un buon allenatore per questo tipo di squadra. Un motivatore dal punto di vista umano. In tanto grigiore mi serviva uno che portasse un po’ di sole. Penso che Carboni sia la persona giusta. Uno che negli ultimi anni non ha mai avuto una squadra su cui lavorare seriamente in prospettiva. Anche lui non mi ha chiesto un biennale ma un contratto a scadenza a giugno. Io non gli ho chiesto la serie B, ma la salvezza, perché ho temuto seriamente la retrocessione. Anche la stampa e il pubblico hanno capito la delicatezza del momento. Se qualcuno affondava Carboni, che dal punto di vista del curriculum, per via dei numerosi esoneri era facilmente attaccabile, io sarei andato via. Per un semplice motivo. Nelle condizioni in cui versavamo non avrei mai preso uno della vecchia guardia. Il Cuccureddu, piuttosto che il Cari non li prenderò mai. Chi mi ha fatto il nome di Carboni? Loschiavo, ad Avellino furono esonerati tutti e due insieme. Con Loschiavo si erano sentiti telefonicamente in qualche occasione, lui aveva visto un paio di volte il Benevento ed aveva chiesto a Tonino come mai la squadra non giocasse con il modulo per cui era stata costruita. Non è un caso se ho cambiato allenatore prima della sosta. Lo feci già nell’avvicendamento tra Martinez e Ugolotti. In questo modo voglio dare tempo per organizzarsi. Capisco come sono fatti gli allenatori quando li vedo lavorare sul campo. Le loro caratteristiche si devono sposare con quelle del gruppo. Interrelazionarsi con i calciatori non è semplice, deve essere un manager di risorse umane. Carboni mi pare che risponda a queste caratteristiche. Che dire, spero di non essermi sbagliato.

 Fonte: Luigi Trusio – Il Mattino

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