Quella domenica sera del 23 novembre 1980

La notizia arriva qualche minuto prima delle venti ma ci vuole gran parte della notte per rendersi conto delle sue reali dimensioni. Le telescriventi battono in continuazione angosciosi dispacci. Sono ancora frammenti vaghi: difficile farsi un’idea di quello che è successo basandosi su un contraddittorio numero di vittime, ancora contenuto ma che prefigura la catastrofe. Soltanto più tardi, intorno alle ventitré, le pagine dei giornali vengono rifatte con la tragica notizia. In Italia è una domenica opaca, scarna di avvenimenti.

La Thatcher è a Roma per un colloquio con il presidente Forlani e il campionato di calcio di serie A ci offre il derby d’Italia Juventus-Inter. Proprio durante la messa in onda in tv di un tempo di questa partita, sono le 19:34inizia un dramma che dura un lunghissimo minuto: la terra è sconquassata da un’onda sismica di inaudita potenza. Tutta l’Italia meridionale è scossa dal terremoto, le regioni più colpite sembrano la Campania e la Basilicata. Si parla subito di decine di morti. Appena un’ora dopo sono già centinaia, in numero cresce di minuto in minuto: si fanno previsioni angosciose.

Le prime notizie arrivano da Napoli dove sono crollati alcuni palazzi e la gente, terrorizzata, si è riversata sulle strade. Interminabili colonne di automobili cercano una via d’uscita verso la campagna, il traffico è in tilt. La radio ha detto che le scosse potrebbero ripetersi. Ovunque l’opera di soccorso appare difficile. Le linee elettriche e telefoniche sono saltate. Da Roma in giù è il silenzio. Le comunicazioni fra le zone terremotate e la sala operativa al Viminale sono interrotte, ne c’è speranza di ripristinarle. La penisola è tagliata in due, questa volta per il terremoto.

Alla prima notizia del disastro, la difesa civile ha mobilitato uomini e mezzi, è riuscita a mettere insieme quel poco di cui dispone. Alcune autocolonne sono partite da Firenze, altre da Bologna. Da Roma si sono mossi reparti dell’esercito, dei vigili del fuoco e battaglioni mobili di carabinieri e polizia. I treni invece sono bloccati, la circolazione verso sud è completamente paralizzata. I convogli vengono fermati alla stazione di Formia per dar modo ai tecnici di effettuare i controlli. Continuano ad arrivare notizie scucite e frammentarie.

Non c’è solo Napoli al centro dell’attenzione, ora si sospetta che all’interno, in Basilicata e sui monti dell’Irpinia, il disastro si chiami già catastrofe. Le squadre di soccorso, quelle poche entrate subito in attività, cercano di aprirsi un passaggio verso i territori montani. La mappa del disastro si estende da Salerno al Sannio, dalle valli di Diano a Mercato San Severino. Durante la notte si aggiungeranno i nomi dei centri rasi al suolo, a molti fino a quel momento sconosciuti. Nelle zone colpite si lavora come si può con grande improvvisazione e cominciano ad arrivare i primi testimoni della catastrofe, raccontano particolari agghiaccianti.

Intorno alle ventitré il Ministero dell’Interno fa sapere che la situazione più grave si registra in tre province: ad Avellino, a Potenza e Salerno. I dispacci di agenzia non danno ancora un’immagine completa di ciò che è accaduto ma nei messaggi via via sempre più tragici si avverte uno scenario catastrofico: si stenta a credere. Richieste di soccorso arrivano da ogni parte. Da Ariano Irpino a Telese, da Ricigliano a San Gregorio Magno e Palomonte. Una radio militare trasmette notizie di vittime da Rionero in Vulture. Si spera ancora che il dramma sia circoscritto alle cose già gravi sapute fino a qui. Poco prima di mezzanotte si fa un primo bilancio delle vittime a Napoli: i morti sarebbero trentotto. Cresceranno in nottata. Continuano ad arrivare notizie alla sala operativa del Viminale: la notte è inquieta, le ore passano tra tentativi, non tutti fortunati, di organizzare i soccorsi. Sopra le zone colpite è calata la nebbia. Scende il gran silenzio nella notte.

Gli appelli si moltiplicano: non bastano le fotoelettriche, né gli uomini, né i mezzi da scavo. Soltanto nelle prime ore di lunedì si riesce ad avere la mappa geografica delle distruzioni. Le province più disastrate sono: Napoli, Caserta, Benevento, Salerno, Avellino, Potenza e Matera. Le più povere. Si parla ormai di mille morti accertati, ma si capisce che è la punta di un iceberg. La macchina dei soccorsi è all’opera ma è ancora debole e lenta. Corrono in aiuto i radioamatori come in ogni disastro naturale. Nella lista dei paesi distrutti, largamente incompleta, mancano i centri dove più duramente si è abbattuto il sisma: Sant’Angelo dei Lombardi, Santomenna, Lione, Calabritto, Balvano, Conza. L’alta Irpinia tace. Si tenta un primo calcolo dell’area interessata al sisma: dovrebbe essere una zona di ventiseimila chilometri quadri che si estende dal Tirreno all’Adriatico. La popolazione interessata è di circa sette milioni di persone suddivise in circa 650 comuni.

A cura di Maurizio Pignone (INGV – Osservatorio Nazionale Terremoti) 

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