Da Rossano a Benevento la mappa delle celle jihadiste

Anis Amri, il giovane tunisino autore della strage di Berlino, era stato per quattro anni rinchiuso nelle carceri siciliane di Catania, Enna, Sciacca, Agrigento e Palermo. Era minorenne quando fu arrestato nel 2011 e – come sospettano gli inquirenti che lavorano al caso – la sua radicalizzazione al jihad sarebbe avvenuta proprio negli anni della sua detenzione italiana. Un fenomeno, quello dell’indottrinamento alla guerra santa negli istituti di pena, spiega IL MATTINO del 6 Gennaio, che allarma in maniera crescente le autorità nostrane. Il caso dello stragista di Berlino non è infatti un caso isolato. Cinque cittadini islamici che sono stati detenuti negli ultimi anni nelle car- ceri italiane hanno poi deciso, una volta rilasciati, di partire per i campi di addestramento dell’Isis in Siria e in Iraq per diventare dei foreign fighter. Dati assai meno rilevanti rispetto a quelli che emergono in molti altri Paesi europei, ma che non consentono – chiarisce ancora IL MATTINO – al governo italiano di abbassare la guardia. Per questo, ormai da mesi, si è al lavoro per evitare che nei nostri istituti di pena possa propagarsi a macchia d’olio l’indottrinamento al radicalismo islamico. Nelle carceri del Paese sono oltre duecento i detenuti a rischio radicalizzazione monitorati dalle forze dell’ordine, ma appena ottanta di questi hanno mostrato preoccupanti segnali di fanatismo religioso. Quelli potenzialmente più pericolosi, circa 20, sono rinchiusi in regime di detenzione separato AS2 (Alta Sicurezza – livello 2) nel carcere di Rossano Calabro che è diventato una sorta di Guantanamo italiana per potenziali jihadisti. Quattro di questi detenuti sono coloro che esultarono al grido di «Viva la Francia libera dagli infedeli» dopo aver saputo degli attentati avvenuti al Bataclan. Altri soggetti a rischio sono invece rinchiusi nelle carceri di Benevento e Nuoro. L’isolamento di queste persone in alcuni istituti di pena selezionati è mirato a prevenire che i più estremisti possano entrare in contatto con altri soggetti meno inclini alla fascinazione del jihad. Se la propaganda che negli ultimi tempi lo Stato Islamico ha posto in atto sul web crea una situazione d’allarme per le forze dell’ordine, il fenomeno della radicalizzazione nelle carceri è ritenuto ancor più pericoloso perché agisce su soggetti ancor più fragili psicologicamente. «Sono persone che entrano in galera per piccoli furti o per reati minori – spiegano fonti qualificate del comparto intelligence – ma che possono uscire dal carcere, a seguito di un vero e proprio lavaggio del cervello operato da fanatici religiosi, come pericolosi terroristi».

IL MATTINO del 6 Gennaio 2016

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