SILVESTRI (USA) FA CHIAREZZA SULLE VARIANTI DI SARS-COV-2

Purtroppo devo constatare che anche sul tema delle varianti di SARS-CoV-2 la comunicazione è diventata piuttosto confusa, almeno in Italia — ma non negli USA, dove la media settimanale dei nuovi casi è scesa sotto 80.000 (era oltre 250.000 un mese e mezzo fa), e si parla soprattutto di come vaccinare la popolazione il più velocemente possibile (siamo a quota 42 milioni di persone che hanno ricevuto almeno una dose).
Lo scrive Guido Silvestri – professore all’Emory University di Atlanta (USA).
Allora, sperando di fare una cosa utile, provo a ricordare rapidamente quello che ci si può aspettare da queste varianti di SARS-CoV-2 da un punto di vista strettamente virologico ed immunologico, usando una nota metafora, quella della chiave e della serratura.
Partiamo dal fatto che il virus per infettarci usa una “chiave”, la proteina spike o S, che si inserisce in una “serratura” che è il recettore cellulare ACE2.
In particolare, il virus usa una parte di S che si chiama RBD (receptor binding domain) che riconosce ACE2 ad alta affinità.
Gli anticorpi che neutralizzano il virus, siano essi indotti dal vaccino o somministrati “passivamente” come anticorpi monoclonali, bloccano proprio il legame tra RBD e ACE2 (ed è per questo che io ripeto che i “no-mab” ragionano come i “no-vaxx”).
Una volta che la RBD non riesce più a “vedere” ACE2 il virus è “neutralizzato” (e l’infezione viene controllata).
Il virus, come sappiamo, muta continuamente, ed infatti nuove “varianti” vengono generate ogni giorno, ed è perfettamente normale che nel tempo si selezionino varianti che si diffondono meglio tra la popolazione (cioè chiavi che aprono la serratura in modo più efficace).
Ma dal punto di vista immunologico il virus più di tanto non può cambiare la forma della sua “chiave” per sfuggire agli anticorpi (che siano indotti dai vaccini, dall’infezione naturale o prodotti come monoclonali), poiché alla fine deve comunque rimanere in grado di entrare nella serratura (sennò finirebbe per neutralizzarsi da solo).
Per questo non sorprende che le varianti inglese e sudafricana siano neutralizzate dagli anticorpi indotti dai vaccini Pfizer e Moderna.
Detto questo, la questione “varianti” si affronta dal punto di vista pratico fondamentalmente in tre modi.
Il primo è di sequenziare il virus per “scoprire” queste nuove varianti in tempi rapidi, studiandone in vitro (e se possibile nei pazienti) le caratteristiche funzionali, per capire quali sono quelle da tenere d’occhio.
Il secondo modo è di monitorare il diffondersi di queste varianti dal punto di vista epidemiologico, in modo tale da poter intervenire, dove e quando sia indicato, con azioni mirate a ridurre la diffusione dei contagi con quella particolare variante. Il terzo modo è di produrre nuove versioni di vaccini e anticorpi monoclonali che neutralizzino le nuove varianti in modo ottimale (nel caso dei vaccini questi si potrebbero utilizzare come “richiami”).
In conclusione, quando pensiamo alle varianti, ricordiamoci sempre del principio della chiave e della serratura. Il virus è furbo, non c’è dubbio, ma il sistema immunitario non è certo da meno!
[ps: in teoria un giorno il virus potrebbe usare un nuovo recettore, diverso da ACE2, per entrare nelle cellule, ma di questo al momento non c’è alcuna evidenza clinico-epidemiologica, e discutere questa possibilità esula al momento dalla nostra discussione]
 Guido Silvestri – professore all’Emory University di Atlanta (USA).

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