2001-2021 ed è sempre “più bello insieme”

 

Oggi il Centro “È più bello insieme” spegne venti candeline finalmente a casa sua, dopo una storia fatta di impegno e di lotta.

Fine anni ’90: Nunziatina, che con la sua cecità tirava avanti la casa e il figlio Cesarino; poi Flora, poi tutti gli anziani del San Pasquale, poi Gaetanina, poi Nicola, poi tante e tanti altri, poi all’improvviso Pino e Walter: a Benevento esisteva il disagio psichico e non lo sapevamo, neanche noi volontari vincenziani!

A Benevento c’erano giovani come noi chiusi in casa, nelle loro schizofrenie, nelle loro depressioni, nella loro disabilità fisica o psichica e che non avevano amici né servizi, solo farmaci ed un po’ di umana pietà da operatori sanitari, di passaggio o stabili, e la solitudine delle famiglie costrette a cavarsela da sole.

Da lì, l’idea di denunciare sui giornali questo pezzo di vita che nessuno vedeva, ma per il quale dovevamo fare subito qualcosa: scrivemmo subito all’allora Sindaco, Sandro D’Alessandro, e all’allora Arcivescovo, mons. Serafino Sprovieri.

Si aprì, dunque, una comunità diurna. Ma al Dipartimento di Salute Mentale di Benevento c’erano lotte intestine che bloccavano ogni progettualità. Alcuni psichiatri liberi pensatori ed alcuni operatori sanitari, che reagivano all’abbandono istituzionale a cui sembravano essere fatalmente destinati, sostennero con gioia il nostro progetto e si aggiungevano a “noi”, piccolo gruppo di matti e di Figlie della Carità e di missionari Vincenziani che nell’estate del 2001 decidemmo di cogliere l’occasione di una casa temporaneamente vuota della Congregazione, in via Marco da Benevento, per dare inizio a due opere: una missione popolare al Rione Capodimonte ed una Comunità di persone con sofferenza psichica.

 

Il nome venne quasi da solo: “È più bello insieme”! La bellezza prima dell’utilità del servizio, l’unità di un gruppo che si salva solo insieme, al posto dell’individualismo di un welfare “a prestazione”.

Aprimmo il campo il pomeriggio del sei agosto, dopo quattro mesi di preparazione dettagliata e di conoscenza delle famiglie: laboratori di ogni tipo con le competenze che ognuno portava con sé, teatro, ping pong, cucina, disegno, poesia, giardinaggio, pulizie della struttura in autogestione.

Il campo doveva durare due settimane, poi diventano tre, ma poi non ha mai chiuso e dopo 20 anni siamo ancora qui.

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