BAMBINI E BAMBINE NELLA SOCIETA\’ ITALIANE

Il dibattuto ha riguardato il tema “Bambini e bambine nella storia della società italiana”.

I lavori sono stati introdotti dalla moderatrice  Nadia Filippini, dell’Università di Venezia:  «Gli studi storia dell’infanzia si sono molto sviluppati negli ultimi 10 anni, arricchendo il panorama delle conoscenze su come veniva considerato il bambino nel passato, sulle figure che ne avevano cura, sulle istituzioni che si occupavano dell’infanzia abbandonata e non abbandonata, e anche dell’infanzia dei bambini delle classi privilegiate. Tali ricerche non perseguono solo una finalità puramente storiografica, ma ha anche delle ricadute concrete perché serve per capire meglio la società in cui si vive, da dove veniamo e come dare risposte al dove andiamo, cioè a quali riforme immettere nella nostra legislazione».

Marinella Corridori, di Hygeia Press, ha ripercorso il rapporto con l’infanzia nell’epoca di Roma “caput mundi”, evidenziando quanto sia diretta la nostra dipendenza da quel passato apparentemente lontano, a cominciare dall’abbandono dei bambini e allo stesso termine "esposti", che fa parte del nostro linguaggio comune. Corrdiroi ha anche discusso della tragica realtà dell’infanticidio nella Roma antica e del figlicidio… , termine oggi desueto o molto poco usato, quasi un termine-tabù, in quanto implica una responsabilità diretta dei genitori nella soppressione del bambino, sebbene ancora oggi la cronaca riporta tragicamente spesso la parola "infanticidio". La Corridori ha quindi discusso anche del disagio familiare in epoca romana.

Raffaella Salvemini, del CNR – Istituto di studi sulle Società del Mediterraneo, ha rievocato alcuni istituti giuridici del passato straordinariamente simili a quelli attuali. Le misure per controllare e per contenere la circolazione dei vagabondi adulti e dei minori a rischio si ritrovano già nel ‘500, così come le norme che imponevano la reclusione dei minori con l’obbligo per i genitori o per un garante, al momento della restituzione del ragazzo alla famiglia, di una precisa assunzione di responsabilità per l’inserimento nel circuito lavorativo, in una epoca in cui ovviamente non c’era la obbligatorietà scolastica. Il tema dell’infanzia negata e dell’adolescenza bruciata , ha dunque una radice antica.

Angela Di Foggia, del Centro documentale “Ruota degli esposti”, ha riferito dei contratti circa l’affidamento dei ragazzi abbandonati siglati da genitori adottivi e la Real Casa dell’Annunziata (voluta dalla regina, Giovanna I). Di Foggia ha parlato della cognominazione subito dopo la riforma murattiana.

Raffaella Nicodemo e Rossana Spadaccini, dell’Archivio di Stato di Napoli, hanno illustrato il lavoro svolto per il recupero dell’archivio del Tribunale per i minorenni di Napoli, gravemente danneggiato dal terremoto dell’80, che ha consentito che venissero a galla storie  e situazioni di grandissimo pathos e spesso commoventi. Dagli archivi vengono fuori biografie di bambini, ma anche di Famiglie che "non ci sono", la cui sostituzione viene individuata dallo Stato attraverso il Tribunale per i minorenni, che fu creato nel 1934 e che poi, attraverso gli Istituti di osservazione e le Case di rieducazione, cercavano in qualche modo di alla carenza di famiglie.

Michela Sessa, della Soprintendenza Archivistica della Campania, ha invece discusso sugli archivi concernenti l’assistenza all’infanzia nel secondo dopoguerra e di come i bambini e le bambine siano stati curati ed assistiti dopo la tragedia dell’immane conflitto. Per cui credo che questa sia una problematica di emergenza, da pronto soccorso: quali sono le buone pratiche da poter mettere in atto per riuscire ad evitare la perdita della memoria contemporanea. Sessa ha chiesto un intervento al Legislatore perché siano digitalizzate tutte queste memorie che rischiano di andare perdute a danno dei diritti dei cittadini.

Elisabetta Landi, ricercatrice di storia orale, ha invece discusso sul tema: “Valani e varzuini: gli schiavi bambini nel beneventano nel secondo dopoguerra”, cioè sulla pratica della vendita dei bambini per le botteghe artigiane e commerciali che avveniva in piazza Orsini nella città di Benevento fino agli anni Cinquanta del secolo scorso. «In parte i bimbi schiavi erano figli di prostitute e di ragazze madri: l’attenzione è concentrata non tanto sul fenomeno dello schiavismo, quanto su una dimensione sociologica mai presa in considerazione. Il risultato della ricerca è stata la ricostruzione del mercato, che non aveva avuto mai nessuna trattazione dal punto di vista documentale né bibliografico; era una consuetudine assolutamente rimossa, di cui non c’è traccia scritta. Si trattava di una esposizione pubblica dei bambini nella piazza antistante il Duomo. Avevo avuto notizia di questo fenomeno, non ho trovato nessuna traccia documentale o documentazione scritta, per cui l’ho ricostruita con le fonti orali: ritrovando testimoni, rimettendo a posto tasselli che si erano persi anche nella memoria collettiva. Il fenomeno era enorme, riforniva manodopera a molte regioni italiane: erano centinaia e centinaia i bambini che venivano esposti fino alla fine degli anni ‘50. È un fenomeno di cui si è occupato Gaetano Salvemini, Einaudi, Alvaro, ci sono state interrogazioni parlamentari. In pratica, si vendevano i bambini per un anno: i contadini portavano i bambini in piazza, li esponevano, il padrone li osservava, li toccava, controllava la muscolatura e poi li acquistava per un anno in cambio di sacchi di grano. Fenomeno durato fino alla fine degli anni ‘50, di dimensioni abnormi: la piazza era strapiena di gente nel giorno dell’Assunta, quindi era un fenomeno che impegnò anche il dibattito politico nazionale, in Italia, ma Benevento lo ha completamente rimosso».

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