Lo smantellamento del welfare sanitario. Intervento e considerazioni del dott. Carlo Iannotti

Il Ministro della sanità Schillaci fa un altro passo verso lo smantellamento del welfare sanitario avviando misure sciagurate ed inapplicabili contro la libertà di cura dei medici.

Anzichè stanziare risorse da destinare all’abbattimento delle vergognose liste di attesa, propone di liberare risorse avviando manovre finalizzate a conculcare il libero esercizio della professione medica attraverso un regime di repressione sulle prescrizioni dei medici SSN. Le ASL stanno già eccependo rilievi a proposito dell’attività prescrittiva dei MMG utilizzando metodi contesabili in fatto ed in diritto. Le medie finanziarie in astratto, ovvero irrelate rispetto ai comportamenti clinici (indicatori di processo ed esito) e all’epidemiologia del singolo medico (composizione anagrafica e prevalenza delle patologie croniche) sono prive di basi logico-razionali ed ingiustificate sul piano scientifico, organizzativo sistemico e legale.

Lo scrive il Dott. Carlo Iannotti Segretario Aziendale Presidente Collegio Nazionale Revisori dei Conti – Sindaco Medici Italiani.

Ecco alcune considerazioni:

1. Il Budget della spesa farmaceutica convenzionata

I budget della spesa farmaceutica convenzionata sono regolamentati da specifiche normative che riguardano le regioni e le ASL ma non esiste alcun tetto di spesa o budget imposto per legge o concordato con i sindacati di categoria, a livello nazionale o regionale che riguardi i MMG. Pertanto pretendere di ribaltare sui medici i vincoli che sono in capo alla amministrazione sanitaria imponendo ai medici un tetto di spesa arbitrariamente individuato a livello locale, è una iniziativa aziendale, tanto illegittima quanto temeraria, che risponde solo a pericolose logiche economiche prive di ogni fondamento giuridico.

2. Lo strumento epidemiologico utilizzato

La pretesa poi di valutare un fenomeno qualitativo, quale l’appropriatezza prescrittiva, con uno strumento statistico atto a valutare solo parametri quantitativi (media pesata) è un esercizio destituito di ogni fondamento logico/scientifico e costituisce un vero e proprio stupro ai fondamentali della epidemiologia. Ipotizzando infatti, che i medici imputati di sforare la media prescrittiva “virtuosa” possano adeguarvisi mutando il proprio atteggiamento prescrittivo, la loro “resipiscenza” causerebbe un ulteriore abbassamento della media prescrittiva che posizionerebbe fuori nuova media altri colleghi precedentemente ritenuti “virtuosi”. Per coerenza al principio, l’imposizione di adeguarsi alla media prescrittiva dovrebbe essere reiterata fino a quando nessun medico risulti fuori media. Orbene, anche chi è a digiuno di epidemiologia comprende che sparirebbero prescrittori fuori media solo quando le prescrizioni di tutti i medici fossero pari a zero. Come si vede conclusioni assurde sbugiardano premesse prive di senso. Tuttavia, se è questo il ragionamento sotteso alla individuazione della media di spesa, bisogna concludere che la ASL è priva di personale dotato di competenza epidemiologica ovvero che l’obiettivo della ASL sia quello di pretendere prescrizioni pari a zero e cioè che i medici curino i pazienti con l’acqua di Lourdes!!! Tentare di conferire dignità epidemiologica sostenendo che composizione anagrafica degli assistiti è “pesata” per età, sesso e quant’altro è giustificazione risibile.

3. Norma regolatorie delle prescrizioni farmaceutiche

I medici sono tenuti ad utilizzare risorse economiche per il conseguimento di obiettivi di salute o esiti clinici (efficacia) conseguenti a scelte razionali (efficienza), nel rispetto delle norme regolatorie e delle buone pratiche raccomandate da studi clinici, linee guida, percorsi condivisi e note AIFA. Non altro. Pertanto i parametri finanziari irrelati ai risultati clinici conseguiti sono inadatti a valutare l’operato di un medico sotto il profilo dell’appropriatezza che si deve riferire solo al rispetto delle norme regolatorie nei singoli casi clinici e non alla media di spesa riferita alla dimensione di popolazione. La valutazione può essere perciò solo qualitativa non quantitativa. L’appropriatezza attiene alla “procedura corretta sul paziente giusto al momento opportuno e nel setting più adatto”, e tanto spiega la variabilità prescrittiva, che risulta non solo auspicabile ma anzi indice di buona pratica medica attestando l’esercizio abituale di cure personalizzate. Eventuali contestazioni di inappropriatezza prescrittiva vanno pertanto effettuate in relazione ad ogni singola ricetta prescritta nello specifico setting clinico e non cumulativamente in relazione al volume di una spesa complessiva arbitrariamente fissata e sottodimensionata !!! D’altronde tanto più un medico attua un capillare ed efficace controllo dei fattori di rischio su un’ampia fetta di popolazione più si scosterà automaticamente dalla media della popolazione usata come riferimento, ma non certo per inappropriatezza. Anzi un apparente aumento di spesa per farmaci o controlli sul breve-medio periodo previene sul lungo termine, eventi acuti, complicanze e peggioramento funzionale ed abbatte quindi anche i costi delle ospedalizzazioni o della prevenzione secondaria, della riabilitazione, pensioni di invalidità e quant’altro.

4. Inappropriatezza in difetto

L’inappropriatezza può sostanziarsi poi sia in eccesso che in difetto. Oltre all’iper-prescrizione esiste anche il problema speculare, non meno rilevante sul piano dell’equità e della qualità, ovvero quello degli ipo-prescrittori, che non sono automaticamente medici “virtuosi”, ma in una visione razionale potrebbero, all’opposto, essere accusati di deficit assistenziale in relazione alle raccomandazioni dei percorsi diagnostici, a partire dalla diagnosi e dalla prevalenza dei cronici tra i propri assistiti. Non risulta che costoro vengano convocati, al pari dei presunti iper-prescrittori, per rendere conto dell’eventuale inappropriatezza per difetto, ad esempio un deficit di presa in carico che comporta rischi sanitari più gravi dell’eventuale eccesso prescrittivo.

5. Prescrizioni indotte

Al Mmg non può essere attribuita la responsabilità di tutta la spesa che passa dalla sua penna, perché egli è solo uno degli attori dell’articolato sistema prescrittivo distribuito tra ospedale e territorio, che converte la domanda in prestazioni diagnostiche e terapeutiche, molte delle quali ricadono poi sul generalista, ad esempio dopo una consulenza o un ricovero ospedaliero, come se fosse l’unico responsabile di tutta la “filiera”. Per una corretta ed equa valutazione dell’appropriatezza i costi delle prescrizioni indotte dovrebbero essere detratti dal “conto” del MMG, come tra l’altro prevede la ricetta con l’indicazione del farmaco “suggerito”. Meglio ancora dovrebbe essere considerata cogente l’attuazione delle normative regionali concordate con i sindacati che prevedono la fornitura di ricettari SSN agli specialisti territoriali ed ospedalieri (U.O.D Assistenza territoriale prot. 2016-0475360 del 12.07.2016 e D.M – 02 NAV 2011). Ne beneficerebbe l’evidenza della responsabilità della spesa oltre a ridurre il vergognoso “rimpallo” dei pazienti tra i vari medici del sistema. Infine nemmeno tutti i farmaci cronici sono farina del sacco del MMG poiché una gran parte viene indotta dagli specialisti consultati, senza contare la terzietà dei MMG nella prescrizione di farmaci con Piano Terapeutico. In tutti questi casi è evidente, ma non considerato, che non si può imputare un eccesso di prescrizioni al MMG dal momento che non ha alcun ruolo nella diagnosi e nel monitoraggio di patologie specialistiche e nella prescrizione farmacologica indotta. Insomma “I processi di produzione e distribuzione dei servizi sanitari si svolgono attraverso reti di relazioni complesse e scarsamente gerarchizzabili fra organizzazioni e professioni diverse, in cui nessuno dei numerosi attori può esercitare la funzione di comando e controllo e, parallelamente, non esiste un unico soggetto cui imputare responsabilità complessive” (Grilli e Taroni).

6. La giurisprudenza consolidata

1. Corte Costituzionale – Sentenza n. 169/17 – Appropriatezza prescrittiva e tagli alla spesa sanitaria

Le indicazioni di un decreto e le scelte politico economiche non possono assolutamente limitare il libero esercizio della professione medica, la Corte le interpreta non come un vincolo ma come un semplice invito ad attenersi a determinati protocolli e servono a tutelare il paziente dalla Cattiva Clinica, ribadendo le norme della giurisprudenza in merito alla libertà, autonomia e responsabilità del sanitario, riportando quindi negli esatti confini l’intrusività della politica, e consolidando ancor di più la giurisprudenza ormai vasta. La Corte ribadisce il “carattere personalistico” delle cure sanitarie, sicché la previsione legislativa non può precludere al medico la possibilità di valutare, sulla base delle più aggiornate e accreditate conoscenze tecnico-scientifiche, il singolo caso sottoposto alle sue cure, individuando di volta in volta la terapia ritenuta più idonea ad assicurare la tutela della salute del paziente (in senso conforme, tra le altre, sentenza n.151 del 2009). Alla luce di tale indefettibile principio, l’“appropriatezza prescrittiva” prevista dall’art. 9-quater, comma 1, del d.l. n. 78 del 2015 ed i parametri contenuti nel decreto ministeriale devono essere dunque intesi come un invito al medico prescrittore di rendere trasparente, ragionevole ed informata la consentita facoltà di discostarsi dalle indicazioni del decreto ministeriale. In tale accezione ermeneutica devono essere intese anche le disposizioni in tema di controlli di conformità alle indicazioni del decreto ministeriale: esse non possono assolutamente conculcare il libero esercizio della professione medica, ma costituiscono un semplice invito a motivare scostamenti rilevanti dai protocolli. E’ costante orientamento di questa Corte che “scelte legislative dirette a limitare o vietare il ricorso a determinate terapie – la cui adozione ricade in linea di principio nell’ambito dell’autonomia e della responsabilità dei medici ……… non sono ammissibili ove nascano da pure valutazioni di discrezionalità politica.…”….. “Sarebbe gravemente lesiva dei principi …. di ragionevolezza sostituire le valutazioni del medico «con la complicata interpretazione di un sistema burocratico generalizzato», lasciando del tutto esposti i medici del Servizio sanitario regionale alle sanzioni dell’amministrazione regionale o a quelle giurisdizionali. Ne deriverebbe una grave alterazione del rapporto tra medico e paziente ed il sistema sarebbe esposto al rischio di pregiudicare il diritto costituzionale alla salute …… “. Secondo i giudici della Corte dei Conti, il «criterio astratto del danno derivante dal superamento di medie ponderate non può essere seguito» e «l’esistenza e la quantificazione del danno non possono essere valutati sulla base del mero scostamento dalla media prescrittiva ma solo con una adeguata analisi delle singole prescrizioni effettuate in rapporto alle patologie da curare».

2. In tal senso si è espressa anche la Sezione Giurisdizionale per la Regione Campania della Corte dei Conti – che con la sentenza n. 860 del 2018 fa giustizia di tutti i medici indagati, evocati in giudizio dalla Procura regionale per inappropriatezza prescrittiva, dichiarando la richiesta di condanna priva di fondamento per mancanza di prova della condotta antigiuridica e del danno. Viene “considerato e riconosciuto un margine di discrezionalità” legata alle caratteristiche del singolo paziente, alle sue condizioni cliniche, di tollerabilità o potenziali interazioni farmacologiche. “Conseguentemente, non è illegittimo prescrivere farmaci anche in deroga apparente alle disposizioni vigenti…”. Emerge con chiarezza il riconoscimento e la necessità di una personalizzazione delle cure, tipica della medicina di famiglia, e anche l’eventuale contestazione sull’appropriatezza prescrittiva va riportata a meccanismi di verifica sui singoli pazienti e le singole scelte.

3. Sempre in tal senso si è espresso il Consiglio di Stato, Sez. III con sentenza 19 aprile 2022, n. 2896): la Regione non può sovrapporre, né in via legislativa né in via amministrativa, la propria valutazione tecnica ad una valutazione di appropriatezza, prescrivibilità e rimborsabilità dei farmaci già compiuta, a livello nazionale, dall’AIFA in quanto attinente ai livelli essenziali di assistenza

4. In tal senso si è espresso anche Anelli dichiarando che “i discostamenti da medie o da algoritmi non valgono per misurare l’adeguatezza delle cure. Ogni malato ha diritto a ricevere le cure per lui più appropriate ed efficaci che vanno determinate sulla base delle sue peculiari caratteristiche, non in ossequio a criteri numerici o economicistici”.

5. In tal senso si è espresso anche Marcello Fontana – Ufficio Legislativo FNOMCeO

Al di là del caso concreto, la sentenza sembra avere un enorme significato, ribadendo il principio della totale (o quasi) libertà del medico nella scelta delle cure più appropriate per quello specifico paziente. Scelta che non può, secondo questa interpretazione, sottostare a vincoli imposti da altri soggetti. Appropriatezza, insomma, non significa necessariamente erogare al paziente il trattamento codificato per quella condizione clinica. Va anzi valutato il caso nello specifico ed è in capo al medico la responsabilità piena sulla scelta del percorso terapeutico da intraprendere”. E ciò da solo spiega che quello istituito dalla norma non è un controllo burocratico bensì un sindacato che deve essere gestito – come esattamente osservato dall’Avvocatura generale dello Stato – secondo le regole deontologiche dell’esercizio della professione medica. Di quanto argomentato è naturale conseguenza la responsabilità del direttore generale per omessa vigilanza ai sensi dell’art. 9-quater, comma 6.

Tutto quanto premesso si invitano gli amministratori e i burocrati della ASL ad abbandonare l’idea che la buona sanità si costruisca attorno a medie e algoritmi e ad archiviare, una volta per tutte, la sciagurata iniziativa di cimentarsi nella valutazione dell’appropriatezza prescrittiva con tali metodi. Li invitiamo ad uniformarsi, invece, al dettato giurisprudenziale e ad astenersi da ogni temeraria tentazione di quantificare un eventuale danno erariale sulla base del mero scostamento dalla media prescrittiva. Non sono ammissibili scelte legislative di pura politica dirette a limitare o vietare il ricorso a determinate terapie la cui adozione ricade nell’ambito dell’autonomia e della responsabilità dei medici. Diversamente chiediamo che ci venga messo per iscritto quali terapie non erogare o quali pazienti escludere dalle prestazioni al fine di dare ampia diffusione mediatica dello smantellamento locale del welfare sanitario. Si rammenta infine, che nel caso infine di temeraria riduzione del trattamento economico accessorio dei Mmg la contestazione deve essere intesa come rigorosamente comprovata a fattispecie di grave scostamento dalle evidenze scientifiche in materia e non riferita a mere elaborazioni statistiche sull’andamento generale delle prescrizioni. Si avverte che in caso di ostinata perseveranza della ASL nella condotta antigiuridica intrapresa saranno i medici stessi, o per essi i sindacati di categoria già pronti a patrocinarli in giudizio, ad adire le vie legali.

Sindacato Medici Italiani Dott. Carlo Iannotti Segretario Aziendale Presidente Collegio Nazionale Revisori dei Conti

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