Spari Tribunale: da carte successo e caduta killer.L\’inchiesta sul crac raccontano la parabola di Giardiello

Con la compravendita di immobili si era arricchito al punto da poter condurre la ‘bella vita’, arrivare a fondare una sua società, con una sede di prestigio non molto lontano da piazza Duomo, e a riuscire a fare affari da capogiro. E questo, fino alla metà del 2005 quando la situazione della sua Magenta Immobiliare va in picchiata fino ad arrivare al fallimento “con liquidità zero”. Smette di lavorare e comincia una sorta di “stalking giudiziario” trascinando in tribunale, con ripetute cause, il nipote Davide Limongelli, e i suoi ex soci nonchè ora suoi coimputati. E’ la parabola dell’immobiliarista omicida tratteggiata nelle carte dell’inchiesta che lo ha portato alla sbarra per la bancarotta della Immobiliare Magenta. Originario di Benevento, classe ’58, diploma di terza media, divorziato, con una figlia, e una nuova compagna filippina, stando alle generalità date nell’ottobre di due anni fa in un verbale di un interrogatorio in cui si è avvalso, fino a qualche tempo fa era “imprenditore” e “possidente” di beni patrimoniali. A tratteggiare il successo e la caduta di Giardello è stato, tra gli altri, Walter Marazzani, nominato curatore fallimentare dopo il crac della società che l’immobiliarista aveva fondato nel 1993 e nella quale “ha sempre avuto tutti i piu’ ampi poteri, tranne una breve pausa dal 26/11/2002 al 14/05/2003”, in cui e’ stata amministrata dal nipote (il figlio della sorella) Davide Limongelli, con il quale tempo dopo sono cominciati i dissapori fino a un vero e proprio “conflitto”. Il curatore del fallimento – dichiarato nel marzo 2008, in seguito all’istanza dell’avvocato Lorenzo Claris Appiani, una delle vittime di ieri e che allora era creditore per essere stato il legale della Immobiliare in diversi contenziosi – ricostruisce il giro di affari da ‘capogiro’ di Giardiello, il quale, come lui stesso aveva detto sette anni fa, quando negli anni successivi al 1997 “cedette il 30 per cento al nipote”, “crebbe ancora di molto”. I guadagni erano alti, milionari, i soldi non mancavano per potersi togliere parecchi sfizi e, si racconta, anche qualche vizio. E ciò grazie anche allo “schema” con cui il 57enne accusato di omicidio plurimo e le persone con cui nel tempo è diventato socio e poi coimputato, definite “la consorteria”, si sarebbero spartite “il nero”. Si tratta di “somme non contabilizzate” in contanti e provenienti da importanti interventi immobiliari, anche per il tramite di altre società edili di cui Giardiello aveva una quota o una partecipazione come socio occulto (alcune fallite), in via Luini, in via Washington e in via Biella. “Un giocattolo che aveva prodotto soldi facili per tutti nella totale impunita’” e che lui, il “conte Tacchia”, questo e il soprannome che spunta in un allegato, a metà del 2005 decise di rompere, convinto di essere al centro “di un complotto e di aver tutti contro”. “Per ragioni non chiarissime ma che presumibilmente risiedono sia nel suo crescente bisogno di denaro – prosegue la relazione -, sia nell’aver ritenuto che il suo temporaneo ‘distacco’ dagli affari abbia indotto gli altri soci” (il nipote chiamato “il marchesino”, Giorgio Erba, Massimo D’Anzuoni e Silvio Tonani) “a sottrargli somme rilevanti” e a mettere in atto “una truffa a mio discapito e a discapito della Immobiliare Magenta” Giardello ha deciso “di agire contro tutti. Tale aggressivita’ ha prodotto plurime azioni civili e numerosi esposti denuncia in sede penale”. Per il curatore questo cambiamento di “atteggiamento e’ stata una delle cause del dissesto” della società, “ma non l’unica”. Perchè le distrazioni di denaro dalle casse a vantaggio suo e di una delle cognate, presunti prelievi cash ingiustificati e per cifre considerevoli, mancato pagamento dell’Iva, dei fornitori a fronte di un rilevante indebitamento con le banche, sono dovute al “disprezzo e alla noncuranza per leggi e regole di Giardiello e compagnia” e all’ “avidita’ che lo ha reso cieco di fronte all’evidente progressivo e costante (…) depauperamento del patrimonio sociale”. A cio’ si aggiungono il suo “progressivo disinteresse (…) per il lavoro, il litigio con il nipote e (…) il tutti contro tutti”. Quella convinzione di “essere al centro di un complotto” che ancora ieri gli ha armato la mano.ANSA

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