CIVES: L’equità ha a che fare con il noi e con i diritti

Il tema affrontato è stato Equità con la relazione della prof.ssa Elena Granaglia, ordinario di Scienze delle Finanze all’Università di Roma Tre.

Nell’introdurre l’incontro, Ettore Rossi direttore dell’Ufficio diocesano per i problemi Sociali e il Lavoro, ha spiegato: “Abbiamo pensato alla parola equità partendo dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa, dove è scritto che essa dovrebbe consentire di avere a disposizione ciò che serve allo sviluppo e al perfezionamento della propria persona. L’impegno da profondere è di garantire a tutti parità di accesso all’assistenza sanitaria, all’istruzione, ai servizi sociali, alla cultura e a quanto può valorizzare la dignità umana”.

La professoressa Granaglia ha esordito dicendo: “Ogni due secondi sentiamo parlare di equità. Si considerano, ad esempio, eque nel dibattito pubblico politiche che tendono a dare più ai figli e meno ai padri; dare più agli outsider e meno agli insider; premiare i meritevoli e punire chi non merita; adottare il calcolo contributivo nelle pensioni; assicurare uguaglianza di opportunità e non di risultati”. La relatrice rispetto a questi assunti offre una prospettiva per fare chiarezza, soffermandosi sul concetto di equità come imparzialità, che è stato sviluppato dal filosofo statunitense Rawls. Imparzialità intesa come procedura di giustificazione dei principi sulla base di argomentazioni che ambiscano all’accettabilità da parte di tutti. Ogni azione può essere considerata equa solo se si pensa e si argomenta sulla base del noi, espressione di un senso di fraternità, e non dell’io. I diritti, infatti, hanno a che fare con il noi. Una chiave importante di questo pensiero, ha spiegato la docente, è di “ragionare come se fossi nato povero, non istruito, ecc. Giudicare le cose, cioè, dal punto di vista del cittadino e sotto un velo di ignoranza come se non sapessimo nulla di noi stessi”. Inoltre, mentre in economia l’interesse pubblico è un’aggregazione di interessi, Rawls riteneva che si agisce in modo equo solo se si bada all’interesse comune e non del singolo.

Questa teoria ha come argomento di base quello che siamo tutti agenti morali degni di uguale considerazione e rispetto. In democrazia gli individui devono definire regole imparziali e uguali per tutti, attraverso un metodo equitativo delle imparzialità nelle scelte. Questo metodo può essere attuato all’interno della società anche con una contrapposizione di idee. L’equità sociale è il linguaggio del dialogo democratico e non deve essere soddisfatta solo con un aumento delle risorse economiche. “E’ sbagliata l’idea – ha detto Granaglia – che le politiche sociali diano soldi piuttosto che servizi. Le politiche che danno denaro non aiutano la solidarietà”. Questo in riferimento anche alla proposta contenuta nella Legge di stabilità, in questi giorni in approvazione, dove si vogliono dare 500 euro ai giovani da spendere per la cultura. Anche a proposito del discorso sulla meritocrazia molto in voga, bisogna pensare in termini equitativi, in quanto pur essendoci disuguaglianze naturali nessuno di noi ha un merito avendo determinate qualità per essere premiato. Né altri hanno dei demeriti perché sono stati più sfortunati nella lotteria sociale.

“La politica deve creare spazi pubblici – ha concluso la professoressa Elena Granaglia – aperti a tutti in cui le persone cominciano a conoscersi, altrimenti si rischia di creare forti contrapposizioni e contrasti sociali. Contro un soggettivismo che abbiamo visto dilagante nel nostro paese. Bisogna garantire a tutte le persone la possibilità di soddisfare i propri bisogni. A prescindere dalle diversità di ognuno di noi, garantire a tutti una base di cose e diritti comuni”.

 

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