La FAISA e la sua Confederazione partecipano alla GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE

La Federazione Autonoma dei Sindacati del trasporto pubblico FAISA e la sua Confederazione Conf.A.I.L. concorrono alla mobilitazione generale in Italia contro la violenza sulle donne e aderiscono alla Giornata Internazionale che si svolge in dimensione planetaria.

 

Nel nostro Paese in media 88 donne al giorno sono oggetto di violenze sessuali, molestie e maltrattamenti di ogni tipo. La maggior parte di questi soprusi avvengono nelle mura domestiche, in seno alla famiglia. Non solo, ma non vengono risparmiati neppure i piccoli di queste donne: bambini che sono oggetto delle prevaricazioni di chi esercita il potere forte in famiglia. E in questo modo centinaia e migliaia di donne vengono colpite sia direttamente sia in maniera indiretta, subendo anche insopportabili lacerazioni sentimentali.

 

Purtroppo questo fenomeno di sopraffazione, cui è soggetta la donna, non è limitato solo ai già troppi casi che riempiono la cronaca dei massmedia, ma è molto più diffuso rispetto alle notizie che trapelano dagli ambienti chiusi delle famiglie. Una infinità di vittime subiscono e non denunziano per non esporre i familiari oggetto e soggetto di comportamenti e azioni brutali, nel vano tentativo di contenerne i danni. E così gli autori di siffatte azioni vengono incoraggiati e inaspriscono le violenze sino all’uccisione.

 

Il femminicidio, per quel che riguarda il nostro Continente, non risparmia alcun paese europeo. In Francia, in prima linea, in Spagna, in Italia e via via dall’est all’ovest, dal nord al sud dell’Europa, si moltiplicano i numeri delle donne uccise a migliaia. Nella sola Italia e nel solo anno passato, il 2018, si sono contati 142 assassinii. La maggior parte di queste povere donne sono state uccise nell’ambito della coppia unita, nel cui seno sono scoppiate le liti che hanno visto agire mariti e compagni conviventi. La percentuale delle vittime scende, ma non di molto, tra mariti separati o divorziati. Uomini che si sentivano privati dell’autorità, anziché provare sentimenti di comprensione verso le proprie donne bisognose di un minimo di libertà personale, quale inalienabile diritto fondamentale dell’individuo.

 

E allora, non si tratta di casi individuali, anche se numerosissimi. E’, invece, interessata l’intera collettività. E’ un problema sociale, di una società malata, rimasta imprigionata nell’antica cultura delle ferite all’onore del maschio dominante, che possiede la donna. Una società che, recuperando usi e costumi remoti, rischia di non raggiungere più il ruolo di genitrice di sentimenti di solidarietà e altruismo, popolata, come è, da uomini in cerca di possesso più che in crescita del proprio essere. Con questa consapevolezza bisognerebbe assistere alle trasmissioni televisive di “Amore criminale” per coglierne in pieno i contenuti di umanità piuttosto che seguire la dinamica di certi imprevisti e patologici avvenimenti delittuosi all’interno della coppia.

 

Vero è che tutti gli atti criminosi contro la donna affondano inequivocabilmente le radici nella cultura maschilista, la quale travalica i confini delle regioni, delle nazioni, dei continenti e va vista e valutata alla luce del retaggio patriarcale che finisce per diventare insegnamento per le nuove generazioni. Tutto quanto, veicolato anche da taluni errati precetti istituzionali e religiosi. Ad esempio, la sentenza di un Tribunale italiano, che assolve uno stupratore perché non può riuscire a violentare una donna in jeans senza esserne agevolato, produce l’effetto di un’autorizzazione alla violenza. Questa sentenza è senza dubbio frutto di una cultura maschilista; un’altra sentenza del Tribunale spagnolo di Navarra, che attenua la pena a un gruppo di assalitori di una ragazza diciottenne lasciata stordita dopo ripetuti atti sessuali a turno, è anch’essa frutto di una mentalità maschilista e incoraggia la formazione di branchi violenti. Infatti sostiene che la ragazza non è stata violentata, ma ha solo subìto abusi sessuali. Anche taluni precetti religiosi, risalenti ad epoche arcaiche, mantengono in piedi, ancora oggi, retaggi culturali maschilisti: “Ecco cosa Allah vi prescrive di lasciare in eredità ai vostri figli: che la parte del figlio maschio sia uguale a quella di due figlie femmine messe insieme…”(Corano IV, 11);  “…Siano sempre presenti due testimoni uomini; mancando due uomini, vi siano un uomo e due donne, di modo che se una delle due sbagli, l’altra sia in grado di correggerla…” (Corano II, 282);  “…Le donne siano soggette ai loro mariti, come al Signore: perché l’uomo è capo della donna, come la Chiesa a Cristo. Così la donna è soggetta a suo marito in tutto” (Lettera di Paolo agli Efesini (V, 22).

 

Di fronte a queste sacche di antichità ancora del tutto sentite, la Conf.A.I.L. ritiene doveroso ricordare che l’indifferenza, la superficialità, il silenzio, l’omissione, la complicità rafforzano il potere maschile incontrollato, e addirittura lo incoraggiano. Questa Segreteria invita e sollecita lo Stato e le sue istituzioni a rafforzare a pie’ sospinto e senza soluzione di continuità la diffusione tra la popolazione del principio irrinunciabile della pari dignità di genere.

 

Le pur nobili e lodevoli iniziative in tal senso di associazioni di volontariato, di onlus, di sindacati risulteranno sempre insufficienti, se non interverranno autorevolmente le pubbliche istituzioni a prevenire e reprimere la violenza sulla donna, pilastro della società, e soprattutto a diffondere la cultura della parità dei diritti, della solidarietà, dell’essere più che dell’avere.

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