La moglie si ammala e muore di Sla, marito finanzia la ricerca Novara-Usa: “Non sono un eroe”

Quando ha saputo della sperimentazione non si è tirato indietro, si è impegnato in prima persona, ha fatto da garante, creando una rete per raccogliere fondi a sostegno della ricerca sulla bio-molecola «RNs60» che mira a rallentare il progredire della Sla: è la storia di Lorenzo Capossela, commercialista di Benevento che ha sostenuto l’avvio della sperimentazione internazionale partita nel 2017, progetto del Centro esperto Sla di Novara in collaborazione con il Massachusetts General Hospital dell’Università di Harvard e l’istituto farmacologico Mario Negri di Milano. Così in articolo riportato da La Stampa di Torino.

Quando alla moglie è stata diagnosticata la Sla, alla fine del 2015, si era rivolto per le cure al Centro esperto Sla dell’azienda ospedaliera universitaria di Novara, uno dei centri d’eccellenza in Italia, guidato dalla dottoressa Letizia Mazzini, ricercatrice di primo piano: «Non ho preteso di trovare una soluzione – racconta il professionista al telefono – ma mi sono detto che avrei fatto tutto quello che potevo per aiutare mia moglie. Quando, confrontandomi sulle possibili strategie terapeutiche, ho saputo di questa sperimentazione, mi sono messo a disposizione da subito attraverso la onlus che ho fondato a Benevento, la Get Out, che si occupa di sostenere la ricerca sulla Sla e le famiglie dei malati».

Per la ricerca  da un milione e 400 mila dollari, un milione era già stato stanziato da finanziatori americani. Mancava la garanzia di finanziatori italiani: «Gli americani chiedevano un co-finanziamento all’Italia che in quel momento non era disponibile, io ho semplicemente garantito ai finanziatori statunitensi che la compartecipazione dell’Italia ci sarebbe stata. Non ho ipotecato nulla, com’è stato detto, semplicemente ho preso l’impegno da subito, ho cercato di fare da collettore delle donazioni e in tanti si sono attivati, l’Ursla di Novara, la Fondazione banca popolare. Forse ora il mio compito è finito, porto avanti l’associazione, ma se si presentasse la necessità di altri finanziamenti, non mi tirerei indietro. La ricerca deve andare avanti». Anche se la moglie, Stefania, non c’è più: «Non basterebbe un libro per raccontare ciò che affrontano le famiglie di chi è colpito da Sla, una tragedia difficile da immaginare – racconta -. Io ho avuto la possibilità di far curare mia moglie in un centro all’avanguardia, nonostante la distanza, ma mi sono sempre immaginato le difficoltà di chi con meno risorse doveva affrontare la cura di un familiare, 24 ore su 24, affrontando le spese. Cifre che per il sistema pubblico sarebbero bazzeccole, e forse per questo non vengono prese in considerazione».

Quella sulla bio-molecola«​​​​​​ ​RNs60» è una sperimentazione di «fase 2» che ha coinvolto circa 140 pazienti in tutta Italia, per testare la sicurezza del farmaco che, in estrema sintesi, punta a incapsulare l’ossigeno per trasportarlo nelle cellule del sistema nervoso centrale, esercitando anche una potente azione antinfiammatoria e proteggendo i motoneuroni colpiti dalla malattia degenerativa.

«Senza l’aiuto della Fondazione Banca popolare di Novara e di questa persona – ha detto Letizia Mazzini – non avremmo potuto dare il via al progetto. La prima fase si è conclusa positivamente: la biomolecola  non crea alcun problema. La seconda, sulla sua efficacia, è in fase di completamento e nei prossimi mesi potremo esprimerci su dati precisi. Al momento possiamo solo dire che i pazienti cui è stata somministrata sono più che soddisfatti».

 

LA STAMPA del 4 Dicembre 2019

 

 

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