Quando la musica diventa storia.Studi sull\’aspetto artistico-musicale del secondo dopoguerra

 Alla musica e ai musicisti beneventani perché furono sostegno morale e motivo di sorriso e di evasione in un momento così difficoltoso.”
La giovane M.C. dottoressa in sociologia laureatasi, brillantemente, presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, ha omaggiato la musica a Benevento e i suoi protagonisti riportando in un capitolo della tesi l’interessantissimo periodo che va dal 1948 al 1963. Con l’avvento del dopoguerra, miracolosamente, nella città martoriata cominciò una storia nuova per la canzone.
“Munasterio ‘e Santa Chiara…/ Tengo ‘o core scuro scuro…/ Ma pecchè, pecchè ogni sera/ Penzo a Napule comm’era,/ penzo a Napule comm’è…”
Le insegne luminose del “Bar Moka” e del “Piccolo Bar” si sforzavano di aprire la porta sul buio, sul pauroso buio, che sovrano regnava sul Duomo e in loro aiuto giungevano “Liquigas” di Piazza S.Maria, “Ariston calzature” di Corso Vittorio Emanuele e “Farmacia Manna” di Corso Garibaldi. Ma, i neon evidenziavano gli scheletri dei fabbricati distrutti dai bombardamenti anglo-americani. “La città non esiste più!” dicevano i beneventani. Tutto era cambiato: le abitudini, l’amore e non si sentivano più le serenate. E quello che forse era stato un mondo idilliaco, lasciava il posto alle impellenti necessità della ricostruzione.
La città era al buio e si erano spenti anche i lampadari del Circolo Ufficiali Americani che avevano illuminato gli strumenti dei maestri Pino Rosiello, Vincenzo Vallone, Alfredo Salzano, Italo Cammarota, Vitolo Fasoli, Todeschini Gogliano, Ettore Paragone, Eugenio Podio, Lavinia Iasiello e, interpretato “In the mood”, ”Danny boy”, “Moon light serenade”, “Stormy Weather”, “Serenata a Vallechiara”, “Stardust”, “Chattanooga cho cho”, “Pistol pachin mama” meglio conosciuta come “Ollero a pistudda”, storia di contrabbando, traffici illeciti e “signorine” di Capodichino. L’orrore non era facile da dimenticare, ma Benevento ci provò: “Tarantella, facemoce ‘e cunte/ nun vale cchiu a niente/ ’o passato a penzà(…)/ Basta ca ce sta ‘o sole/ Ca c’è rimasto ‘o mare/ Na nenna a ccore a ccore /Na canzone p’è cantà(…)”.
Questi versi scritti da Peppino Fiorelli e musicati da Nicola Valente furono un’incitazione alla pace. I fornai, “Micillo” e “Pesce ‘e zucchero”, il barbiere Pasquale Gallo, a stoppae Cenza ‘a giornalista (giornalaia) riprendevano le loro attività: “Nù marito a taccàriato a mugliera!!!… Era ’mbriaco!… signò!’O Matino!… ’O Roma!”
Il desiderio di sfogarsi liberamente cominciò a manifestarsi nei modi più consueti: nelle lunghe serate d’inverno i luoghi più a buon mercato erano i bar dove i giovani s’incontravano, scoprendosi a bere il cubano, il chinotto o alla “Sala Biliardo Calicchio”. Altro passatempo era il ballo. Si ballava la beguine, la rumba, la conga, il bajon, il samba, lo spirù e persino l’honky-tonky, ma resistevano il fox-trot, lo slow, la mazurca, il valzer, la polka, il tango. In Piazza Roma si ballava con l’orchestra del maestro Italo Cammarota e la voce di Gaetano Quadraro. E si ballava anche al “Circolo Sociale”, all’ultimo piano del Palazzo ex Bosco, con la costituita formazione denominata “Hula-Hula” che proponeva boogie-woogie, swing e i sentimentali: “Me so ‘mbriacato e sole”, “Io ti ho incontrato a Napoli”, “Luna rossa”, “Munasterio e ‘Santa Chiara”, “Tammurriata nera”, “Anema e core”… che con ironia racconta la drammatica vicenda di una giovane, una delle tante, messa in stato di gravidanza dai militari di colore e “Angelina, Angelina, io vengo in questa pizzeria: a quintali mando giù pasta asciutta col ragù”. Canzoni-simbolo, vere e proprie.
A quel tempo gli uomini vestivano in giacca e cravatta per andare a ballare ma, eccezionalmente, vi erano donne in pantaloni che subito venivano etichettate poco serie. “Hai visto? Marisa indossa i pantaloni e va a Telese in “vespa” a ballare il mambo con Pino!”. Il mambo, ma anche il cha cha cha, che con ardore ballava la coppia Enzo De Rosa – Adriana Guerra. Ma, i più raggiungevano la pista delle terme con il treno e solo pochissimi fortunati andavano in auto proprie o noleggiate da “Papanonno” o da Cienzo De Rocchis.
Si ballava con il “k2” del maestro Alfredo Gramazio e al suono dell’”Hula Hula” di Italo Cammarota i classici americani, il genere cubano e i lenti di Sinatra. Caratteristiche essenziali erano le veglie a tema: fino alle ventitré furoreggiavano i giovani nell’ascoltare Benedetto Politi e Tonino Sorgente e prima che cominciasse “Bahia”, la rumba che siglava la fine della serata, apparivano gli adulti che richiedevano il violino e l’ocarina di Cammarota. Poi tutti a cena al ristorante “La Pagliarella”.
Nei tardi anni ’50 nascevano sale per cerimonie, situate quasi in ogni zona della città: “Smeraldo”, “Fante”, “Artiglieri”, “Veral”, “Fiengo”, “Tretola”, “Pontillo”, “Tresca”… oltre ai dopolavori ENAL e “Ferrovieri”. Anche Benevento amava la musica di Duke Ellington, Glenn Miller, Benny Goodman, Countie Basie e Louis Armstrong, satchmo. Nei locali le orchestre proponevano un repertorio che coniugava “Blue Moon” con “Scapricciatelo”, “Night and day” con “Anema e core”, “Being the beguine” con “Luna Rossa”, “Monlight serenade” con “O ciucciariello” e “Ho giocato tre numeri al lotto” con “Smokes gets in your eyes”.
In quelle sale si alternavano le formazioni di Geppino De Masi, Raffaele Russo con Raffaele D’Elia e Silvio Sorgente, Mario Lamparelli, Cosimo Lepore (u’ spirito), Vincenzo Vicerè (u’ moro), Cosimo Cataudo (Siriviestri), Michele Alleva, Alfredo Salzano, Vitolo Fasoli, Franco Tucci, Amedeo Romano, Peppino De Blasio… mentre muovevano i primi passi Pino ed Enrico Salzano, Gigi Giuliano e Vittorio Marsiglia. Diradavano, ahimè, la loro presenza i chitarristo-mandolinisti Pasquale e Fulippiello Gallo(a ‘stoppa), Armando Salzano, Vittorio Micco, Mario Tavino, Tutuccio Lepore, Giovanni Russo, Cosimo Vitiello, Augusto (u ‘sgubbetiello), zi Giuvanno (u’ barbiere), Nicola Covino e non si eseguivano più leserenate. Ma, a Benevento si suonava e si cantava nonostante le vicissitudini e i mutamenti della storia. E, cantavano nel ’52, nell’ambito della “Festa della Matricola”, anche i giovani universitari. Lungo le sponde del Calore si svolse “La battaglia di Benevento” per ricordare quella tra Manfredi di Svevia e Carlo d’Angiò. Ivi, furono anche presentati musiche e canti inediti dialettali, qualcuno oltremodo spinto. “Girando per Benevento/ non si trova più torrone/ jammo a vedè addù chillu chiavico ‘e ‘Ciccone…”
I nuovi musicisti si avvicinavano entusiasticamente allo swing e agli accattivanti “Be bop e cool” tanto cari a Lennie Tristano e a Miles Davis. Benevento ormai aveva sconfitto il buio e aveva acceso i riflettori su quel particolare “sound” giusta  conseguenza del modo nuovo di concepire la musica. Ma… “e si nun era pu contrabbando/ a panza mia steva vacante…
Ollero a pistuddà, Ollero a pistuddà, Ollero a pistuddà, Ollero a pistuddà!!!”

Archivio Salzano
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Edizione "Il Cinghiale"
Enrico Salzano – critico musicale    
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