LA CULTURA ZONA FRANCA ? Interviene nel dibattito El Kozeh

Ma soprattutto ha il merito, nella spontaneità dello sfogo, di spiegare che le attività culturali vanno oltre – in termine di attività e di risorse umane coinvolte – la vetrina dell’ esibizione.
Ed è anche assolutamente condivisibile l’ affermazione che “un’ ampia e solida programmazione culturale e artistica” è indispensabile per consentire la sopravvivenza degli operatori dello spettacolo.
D’ altro canto mi permetto – con la speranza di alimenatare quel dibattito auspicato dallo stesso Pierluigi – di non condividere altre sue posizioni.
In primo luogo non credo che la maniera migliore per avviare un ragionamento (di qualsiasi argomento tratti ma soprattutto su tematiche culturali) sia quello del dare dell’ ignorante all’ interlocutore: capisco che il coinvolgimento emotivo può far usare impropriamenre le parole ma se in questa Città, nella nostra Città, non dismettiamo rapidamente questo clima da guerra civile diffusa, in cui le posizioni dell’ altro sono quelle del nemico e non dell’ avversario da rispettare pur nella diversità della posizione, credo che il confronto resterà solo una bella parola che ipocritamente continueremo ad utilizzare per mantenere comunque le proprie posizioni e quindi restare sempre allo stesso punto e cioè non crescere.
Così come mi lascia perplesso la stigmatizzazione del diritto di critica di qualcuno nei confronti di qualcun altro: questo è sempre legittimo e sacrosanto e soprattutto noi operatori della cultura abbiamo il diritto di difenderlo anche quando viene esercitato a nostro discapito. Ad esso si oppongono idee, non censure!
Entrando poi nel merito del ragionamento di Pierluigi sulla sospensione dei finanziamenti ad alcune rassegne della nostra Città (tra cui Città Spettacolo) mi farebbe piacere capire – e capire anche perché Pierluigi non vi faccia riferimento – meglio quale sia la logica che spinge un assessore ad organizzare una conferenza stampa “anomala” per annunciare il fatto salvo poi non prendersi la briga, quando pochissimi giorni dopo accade, neanche di fare un comunicato stampa per dire che il finanziamento in questione è stato sbloccato.
Detto questo sono ben felice che Pierluigi sia finalmente intervenuto nel dibattito sulla cultura che ha sempre bisogno di nuove voci, nuove visioni e nuove energie.
Naturalmente mi avrebbe fatto piacere che questa cosa fosse avvenuta prima e cioè quando ben altre programmazioni culturali o eventi (quale per esempio Il Bengiò Festival cui lui era professionalmente legato) venivano cancellate e, soprattutto, quando la sua collaborazione con recenti iniziative del Comune consentisse di non gettare ombre su questo suo intervento.
D’ altro canto, fidandomi della sua buonafede, vorrei entrare nel merito di alcune sue affermazioni partendo da un presupposto: che oggi la nostra Città è dotata di un capitale umano legato alle attività culturali in grado di competere adeguatamente sul mercato nazionle ed internazionale.
Quello che manca invece è una vera industria che consenta a queste professionalità di poter restare sul territorio e non andare ad arricchire altre esperienze da noi lontane.
Per far ciò però non basta una programmazione culturale fatta di rassegne che si susseguono; serve una cultura d’ impresa della cultura – mi si scusi la ripetizione – che svincoli le attività dal
finanziamento pubblico e renda il settore da esso indipendente se non totalmente almeno parzialmente.
Non esiste infatti alcuna area di attività al mondo in cui si investono vari milioni di euro in 4 anni e che non si riesca a rendere non dico redditiva ma almeno autoremunerativa. Quando ciò accade delle due l’ una: o è sbagliato l’investimento o è sbagliato il management!
Oggi nella nostra Città non c’è proprio lo sforzo di applicare alla cultura ed alle attività ad esse riconducibili sane pratiche di gestione: per capirci mi chiedo come sia mai possibile che dopo trent’anni di storia Città Spettacolo non abbia uno sponsor, non abbia un contributo serio da privati che gli consenta di coprire parte del budget svincolandola dall’ attesa del pubblico contributo e quindi non riesce a fare una seria azione di marketing chiudendo il cartellone due mesi prima dell’ inizio? Ma soprattutto, come è mai possibile che con tutti i soldi che si spendono in consulenze varie nessuno abbia mai pensato di creare una struttura di marketing e fund raising stabile che in maniera continuativa supporti la programmazione culturale della Città e, perché no, dell’ intera Provincia?
Caro Pierluigi, credo che entrambi auspichiamo la stessa cosa e cioè la creazione di un’ economia legata alle attività culturali ed artistiche stabile e forte che consenta ai vari operatori e professionisti dello spettacolo di vivere a Benevento dignitosamente del prorio lavoro e, soprattutto, non soggetti agli umori del politico di turno che, secondo la logica dello spoil sistem, azzerra tutto ciò che c’era prima del suo arrivo per impiantare la “sua” programmazione in nome di una non chiara “discontinuità” e disponendo dei soldi publici come se fossero i propri.
Per tentare di superare questa situazione che non consente a nessuno di crescere – tranne le tasche di qualcuno – c’è bisogno di qualità e non di quantità della spesa, c’è bisogno di mentalità e non solo di abilità ed è per questo che da vari mesi che ho proposto un”Patto per la Cultura” che, evidentemente, interessa pochi o nessuno.
E’ probabile quindi che si preferisca continuare così, elargendo soldi pubblici che non lasceranno traccia non perché la qualità degli interventi (alcuni) non sia buona ma perché non si crea sistema, mortificando coscienze e professionalità mal pagate (talvolta in nero) con la logica di un po’ a tutti così non scontentiamo nessuno e attendere che tra qualche settimana, mese o anno qualche persona di grande entusiasmo ed altrettanta ingenuità ci ricordi ancora una volta “quanto sia importante per Benevento e per tutti gli operatori del settore (ma non solo), un’ampia e solida programmazione culturale e artistica”.
A tal proposito Sant’ Agostino ci ricorda (a me per primo) che “sono tempi cattivi, dicono gli uomini. Vivano bene, e i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi”.
Jean Pierre el Kozeh

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