TEATRO: SALEMME, ‘PORTO IN TOUR I CLICHE’ SULLA NAPOLETANITA”

“Da metà agosto comincio un tour teatrale da un mio pamphlet, ‘Napoletano? E famme ‘na pizza’. Tutto sui cliché della napoletanità. Quando mi presentano in tv dicono: l’attore comico napoletano. Perché non lo si specifica per gli altri? Dal napoletano ci si aspetta la giovialità, la simpatia, l’essere ritardatario. A Milano o Roma mi dicono: sei di Napoli ma come fai a essere così puntuale? Mi rubarono il cellulare e mi dissero, ti sei fatto fregare
tu che vieni da lì. Ho una casa in Toscana e mi dicono sorpresi, come mai? Siamo prigionieri di uno stereotipo, ci si aspetta che facciamo i napoletani”. Lo afferma l’attore e regista Vincenzo Salemme, in un’intervista al ‘Corriere della Sera’, rilasciata in occasione
dell’assegnazione domani al Festival di Benevento, del primo premio alla carriera della sua vita. “Ho 63 anni e un premio così devi averlo per forza a una certa età”.

Della genesi della sua personalità artistica confessa: “Ho scritto per il teatro per superare le mie paure, per rappresentare i miei fantasmi, il terrore di essere abbandonato, di non essere accettato”. “Ero un bambino sonnambulo – racconta ancora – mi alzavo di notte,
parlavo all’incontrario, avevo un incubo ricorrente, una donna col coltello dietro di me, non ho mai capito chi fosse”. “Sia psicologi che psichiatri, freudiani, junghiani, li ho provati tutti. Il freudiano diceva che era l’incapacità di restare solo”. E d’altronde la comicità napoletana “nasce dalla fame, dal disagio esistenziale, è sanguigna, è granguignolesca, Pulcinella è il rosso sangue, un altro Vesuvio pronto a esplodere, è la morte come compagna di vita. Pensi a Eduardo, che come affresco umano lo paragono a Cechov; pensi a Questi
fantasmi, che nasce da una storia vera, un uomo che tornava a casa e la moglie gli diceva che l’amante che vedeva uscire era un fantasma. E il marito se ne convinceva”.

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