Il “nemico” Vogliacco: «Caro Pordenone tifo per la tua salvezza ma devo batterti»

L’ex difensore neroverde domani affronterà i ramarri con il “suo” Benevento «In Friuli sono diventato uomo»

«Arrivai a Pordenone da ragazzino, sono andato via da uomo». In questa frase si capisce quanto, per lui, significhi affrontare per la prima volta da ex il Pordenone, la società «a cui sarà eternamente grato». Alessandro Vogliacco dovrà tenere a bada sentimenti ed emozioni quando, al Vigorito, giocherà con il suo Benevento contro i neroverdi, colori che ha difeso in 59 gare da gennaio 2019 a maggio 2021. Il difensore, classe ’98, di proprietà del Genoa e ora nel Sannio, in città è maturato come calciatore ed è diventato papà di Violante, la sua primogenita nata dal rapporto con Virginia Mihajlovic, la figlia del tecnico del Bologna Sinisa. «Domani, però – premette – dovrò battere i miei ex compagni».

Vogliacco, si ricorda l’inizio dell’avventura in Friuli?

«Ero ancora un calciatore di proprietà della Juventus e provenivo da sei mesi in prestito in B al Padova, dove non andò bene. Mi chiamò il direttore (Matteo Lovisa, ndr) per dirmi che mi avrebbe aspettato per firmare il contratto. Accettai subito, perché volevo rimettermi in gioco».

Col senno di poi è stata una scelta vincente.

«Sarò riconoscente a vita al Pordenone e al club. Abbiamo conquistato la serie B, quindi i play-off l’anno successivo e la salvezza la scorsa primavera. E coi ramarri ho guadagnato la prima convocazione in Under 21. Ero un ragazzino impaurito, sono diventato un giocatore».

Quale dei traguardi conquistati sente più suo?

«La permanenza in serie B dell’ultimo campionato. Abbiamo sofferto, ma abbiamo ottenuto con merito quanto ci eravamo prefissati. La vittoria del campionato di serie C è stata qualcosa di incredibile e per me quei sei mesi hanno rappresentato un vero e proprio apprendistato. Ma dal punto di vista sportivo devo dire che la vera impresa è stata il raggiungimento della semifinale play-off del 2020: eravamo una squadra forte e si era creato un entusiasmo incredibile tra noi».

Quali i compagni che le hanno lasciato di più?

«Mirko Stefani e Gianvito Misuraca. Da loro ho imparato tanto dal punto di vista tecnico e del comportamento. Sono delle persone vere. Poi, essendo difensore, Mirko mi ha insegnato a essere meno istintivo e a ragionare».

Mister Tesser, suo allenatore per due anni, è stato determinante nella sua crescita.

«Il nostro rapporto ha avuto una crescita costante. Ho fatto di tutto perché si potesse fidare di me. Ha lavorato affinché potessi diventare efficace».

E con lui ha giocato ovunque: centrale, terzino destro e sinistro. Dove si è trovato meglio?

«Nel cuore della difesa, dove sono impiegato anche a Benevento. Sulla fascia mi sono adattato e ho messo a disposizione le mie caratteristiche. Ma a me piace moltissimo giocare a tre».

Si percepisce che per lei, domani, sarà una giornata speciale.

«A Pordenone ho saputo che sarei diventato papà. Posso dire che si tratta della mia seconda casa. Da un lato mi sento ancora parte dell’ambiente. I miei compagni mi prendono in giro, perché guardo tutte le partite dei neroverdi. Sono un loro tifoso. Naturalmente il mio trasporto si fermerà quando sarò in campo: sono un professionista, dovrò mettere da parte subito ciò che provo. Auguro alla mia ex squadra il meglio, ma noi abbiamo bisogno di punti per rimanere in alto in classifica».

Il Pordenone può salvarsi?

«Sì, e sono contento si sia sbloccato con l’Alessandria. Tedino, che è stato anche il mio allenatore nell’Under 17, darà una grande mano. Poi calciatori come Camporese, Misuraca, Stefani, che hanno a cuore la causa, saranno fondamentali per aiutare gli altri».

Per chiudere: qual è la partita a cui è più legato?

«A livello di emozioni il successo in gara-1 della semifinale play-off col Frosinone. Ma devo dire anche la vittoria col Cosenza, valsa la salvezza: è stata un’autentica liberazione. Non potevo lasciare i neroverdi con una retrocessione».

Messaggero Veneto Online

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