Benevento, il pentito: «I veleni dei Casalesi anche nel Sannio»

Benevento. «L’affare era gestito dal gruppo vincente dei siciliani».-In Sicilia?«Sì, in Sicilia. Come noi lo facevamo in Campania. Nel 1988 furono suddivise le zone: il clan dei Casalesi arrivava fino alla provincia di Benevento, mentre Carmine Alfieri con Mario Fabbrocino e Pasquale Galasso si allargavano nella zona vesuviana, sia pure collegati con noi attraverso, diciamo così, un mutuo soccorso».È uno dei passaggi dei verbali resi davanti alla commissione bicamerale per le Ecomafie dal pentito della camorra Carmine Schiavone, verbali che la commissione aveva secretato nel 1997 e che oggi il Parlamento ha reso pubblici. Dunque l’area del Beneventano e la provincia sannita non erano esenti dall’aggressione criminale portata dalla criminalità organizzata al territorio.«Fino al 1991, inizio 1992 scaricavamo tra la zona di Latina fino a Benevento. Avevamo ancora le cave di sabbia, parecchie delle quali erano in via di esaurimento, che potevano essere riempite. Quando abbiamo fatto il giro in elicottero si è verificata una “scena”, nel senso che abbiamo visto un camion che stava scaricando e che poi è scappato. Insomma, c’erano cave non ancora sistematicamente piene, perché il territorio è vastissimo – prosegue Schiavone – In più, non è che per scavare si andasse a prendere uno che avesse mille metri di terra: ne doveva avere almeno 7-10mila con una profondità di 25 metri, si trattava di 250 mila metri cubi di terreno da estrarre e, quindi, di 250 mila metri cubi di immondizia da poter sistemare, forse 200mila visto che altri 50mila erano occupati dalla terra usata per ricoprire».In base alla ricostruzione del collaboratore di giustizia «al Nord l’attività si svolgeva fino a Latina poi per tutto il Matese fino alla zona di Benevento. Noi avevamo Mimmo Pagnozzi come nostro capozona insediato a San Martino Valle Caudina, il quale ci gestiva i lavori per nostro conto, ci dava le quote sulla droga e tante di quelle cose».E ancora: «Fino al 1991-92 a noi scaricavano tra la zona di Latina fino a Benevento. Il sistema era unico, per noi per la Sicilia e la Calabria. Non è che lì rifiutassero i soldi. Che poteva importargli, a loro, se poi la gente moriva o non moriva? So per esperienza che, fino al 1992, la zona del Sud, fino alla Puglia, era tutta infettata da rifiuti tossici provenienti da tutta Europa e non solo dall’Italia».Uno scenario da brividi. Nei verbali di Schiavone c’è la genesi del disastro: la camorra, dice tra l’altro, «ha riempito gli scavi realizzati per la costruzione della superstrada Nola-Villa Literno sostituendo il terriccio con tonnellate di rifiuti trasportati da tutta Italia». E le imprese che avevano ottenuto l’appalto per la realizzazione dell’opera, «oltre a subappaltare una parte dei lavori ad imprese legate al clan Schiavone, hanno pagato alla camorra tangenti pari al 3 per cento sull’importo complessivo».Alla Dia l’ex delfino del boss soprannominato Sandokan, conferma anche di essere in grado di indicare i siti in cui erano stati interrati residui tossico-nocivi o radioattivi. Il sistema, racconta, funziona così: il clan, dopo aver sfruttato in regime di monopolio le attività estrattive di sabbia e materiali inerti nelle cave, le ha in seguito convertite in discariche abusive. Schiavone raccontò che anche gli scavi realizzati per il raddoppio della Roma-Napoli sono pieni di bidoni con sostanze di tutti i tipi. IL MATTINOdi Lorenzo Calò

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