Caldoro: «Ferita insanabile con il coordinatore del Pdl»

La rabbia contro i falsi dossier su trans e droga, contro le intercettazioni dei suoi colleghi di partito che parlano di lui come «un culattone», traspare a tratti solo sul viso un po’ più tirato del solito e nella voce che, di tanto in tanto, sale di qualche tono. Soprattutto quando spiega che, in Campania, il Pdl «deve cambiare marcia, rinnovarsi e tutti devono rimettersi in gioco». Sconvolto dal falso dossier che rivelava, con tanto di date e alberghi, di incontri con i trans? Qual è stata la sua reazione? «Ho subito presentato la querela e fatto oscurare il sito. Devo riconoscere la grande professionalità dei giornalisti campani che hanno verificato e quindi hanno cestinato il dossier per la sua infondatezza. Per quanto mi riguarda ho già vissuto Tangentopoli, quello era il Vietnam… Ho la freddezza e la capacità per reggere alle pressioni con una certa serenità». Serenità? «La mia vera preoccupazione è stata per la famiglia. E in particolare mia figlia. Per fortuna è grande, ha 19 anni, fosse stata più piccola avrei temuto il peggio. Sono cose che possono lasciare un segno». E sua moglie? «Mi conosce bene, è una donna fortissima, un carro armato… Ho la coscienza a posto e so cosa significa essere oggetto di una calunnia. Anzi, il termine più giusto è delegittimazione». Un colpo basso alla Marrazzo? C’è un legame? «Un legame c’è, nel senso che quando si è pensato di elaborare un dossier, si è utilizzato un fatto noto che poteva raccogliere il massimo dell’attenzione attraverso la stampa. Ma su Marrazzo l’evento c’è». Era pronto anche un pentito della camorra… «Ho letto anche questo. Ma non mi sorprende. Il falso dossier era costruito sulle tendenze sessuali, la droga e naturalmente, i legami con la camorra. Tutti gli ingredienti per delegittimare una candidatura. Perchè di questo parliamo». A favore di chi? «È tutto da scoprire». I sospetti puntano su Cosentino. «Cosentino aveva già i suoi problemi. Ma c’è anche l’ipotesi di un terzo candidato….». Sica dice che, a proposito delle tendenze sessuali, ha raccolto le voci che giravano nel Pdl… «Mah, le voci si rincorrono sempre. Il problema non sono le voci ma chi fa dossieraggio…». Eppure Sica era nella giunta. «È stata una responsabilità mia». Ma se non lo conosceva… «L’avevo visto una sola volta in campagna elettorale». Quindi, qualcuno l’ha segnalato. La chiamata è arrivata da Berlusconi? Da Verdini? Da qualcuno del Pdl? «La segnalazione su Sica è arrivata da Roma, direttamente dal partito e non da Berlusconi. Io non ero convintissimo della sua candidatura perchè non mi piacciono le scelte che non rispettano certi criteri e che maturano attraverso delle scorciatoie». Non ha temuto un ripensamento del premier quando i dossier hanno preso a circolare? «Di Berlusconi mi fido molto, è lui che ha fatto il mio nome per la Campania, sostenuto poi dal Pdl. Penso che abbia subito trovato inconsistenti quelle carte. Mi conosce, sa come sono fatto, mi dice sempre che sono prudente e attento. Poi la politica è politica. Volevano che mi ritirassi, pensavano che non riuscissi a reggere alla pressione…». Si sarebbe ritirato se i giornali avessero abboccato? «Mi conoscono poco: sarei andato avanti deciso. Non posso tradire i cittadini che mi hanno votato, un milione e seicentomila. Abbiamo avviato un’azione straordinaria per rimettere in sesto una macchina complessa come quella della Campania, distrutta da 15 anni di centrosinistra». Quanto ha pesato Cosentino nella formazione della giunta? «Nel recente passato, sindaci e governatori, dalla Iervolino a Bassolino, hanno dovuto fare i conti con partiti arroganti che imponevano i nomi degli assessori senza che si potesse non solo discutere ma nemmeno fiatare. Io sono stato libero, la giunta che ho composto è di altissima qualità. Non c’è stata nessuna imposizione. Cosentino non mi ha mai chiesto nulla». Lei ha parlato di poteri forti, di un grande vecchio dietro i dossier… «Non so se sono forti o vecchi… L’unica cosa sicura è che sono esterni al Pdl. Lo dimostra il fatto che se non fosse arrivata la mia rinuncia erano pronti a sostenere il centrosinistra». Riecco il low profile. Ma lei non perde mai la calma? Non le sarebbe convenuto un atteggiamento più aggressivo? «Io sono garantista, sempre. So che qualcuno ha letto la mia riservatezza come una debolezza. No so, forse avrei dovuto reagire con veemenza, con durezza. E, in effetti, l’indignazione c’è tutta. Ma la mia cultura mi dice di attendere i risultati delle indagini. La presunzione di innocenza è un valore in sè». Però i tempi della politica e quella della giustizia non coincidono. Non dirà che da questo punto di vista non cambierà nulla e che con Cosentino i rapporti saranno gli stessi? «Sarebbe falso dire che non è cambiato nulla nei miei rapporti politici e personali con il coordinatore del Pdl. Nulla potrà mai essere più come prima, e di questo dobbiamo prendere atto tutti». Ma la convivenza con Cosentino è possibile? Come può stringere la mano a un politico che l’ha definita in quel modo nelle intercettazioni? «Io metto sempre la politica prima dei rapporti personali. E poi le dimissioni sono sempre un atto di responsabilità». Ieri Cosentino ha detto di essere estraneo ai dossier. E che l’ha sostenuta? «La candidatura è stata proposta da Berlusconi. Cosentino aveva già detto al presidente Berlusconi che lui in questa vicenda è soprattutto vittima e il premier ha deciso che poteva restare. Prendo atto, accetto la decisione. Ma questo non significa che tutto resta come prima. Si è chiuso un ciclo e si è aperto uno scenario nuovo». Se si fosse trovato nella posizione di Cosentino, si sarebbe dimesso? «È difficile dare una risposta senza conoscere i risultati dell’inchiesta in corso. Insisto: non sono un giustizialista. L’attività politica deve essere all’insegna della massima trasparenza. Ma non possiamo sposare una linea giacobina…». Il ministro Carfagna non si sarebbe accontentata solo delle dimissioni da sottosegretario, Berlusconi sì. Chi ha ragione? «Hanno ragione entrambi. Mara è da sempre su questa linea, il ruolo del presidente del Consiglio è diverso, deve rappresentare un momento di sintesi». Negli ultimi giorni sono spuntati migliaia di manifesti pro Cosentino. «Sono sbagliati, così come non ho condiviso quelli firmati dal Pd». Ha parlato con Cosentino in questi giorni? «Ci siamo sentiti all’inizio della vicenda». E poi? «Nessun contatto. Questo non vuol dire che non ci sentiremo in futuro. Ci mancherebbe. Ma ripeto, il rapporto è cambiato anche se la lettura definitiva la faremo quando è giusto farla, non possiamo anticipare le sentenze». Però con Sica ha bruciato i tempi? «Ho risolto il problema in meno di 24 ore quando tutti dicevano che non ci sarei riuscito. Sfido a dimostrare che qualcuno negli ultimi quindici anni sia riuscito a fare questo in Campania senza passare per le forche caudine dei partiti. Ma Sica è un assessore, io rispondo per la mia giunta. Non posso entrare nelle decisioni interne del Pdl». Se Sica non si fosse dimesso? «Sarei arrivato alla revoca». Però, se Cosentino resta, c’è un’oggettiva difficoltà in Campania. Come uscire da questa situazione? «Solo la magistratura può puntare il dito. Ma il Pdl deve recuperare credibilità, rilanciare la sua azione con uno spirito nuovo, anche se nessuno dire di essere puro. Perchè, come diceva Nenni, viene sempre «uno più puro che ti epura». Tutti, insomma, a cominciare da me, devono rimettersi in gioco, senza ruoli garantiti. Non abbiamo bisogno di moralizzatori, ma la maturità di una classe dirigente è anche nella decisione di cambiare. Il rinnovamento non è più rinviabile». Però, lei è stato eletto dai cittadini. «Vero, il mio ruolo non è di partito. Ma è evidente che se non ci sarà una risposta vera per il cambiamento, trarrò le conseguenze. La sfida per la Campania è epocale. Questa classe dirigente può fallire tutta insieme o affermarsi. Nessuno può pensare di avere rendite di posizione. Oggi perde chi resiste al cambiamento. La forza di Berlusconi è proprio nella sfida costante a rilanciare: lui non difende mai l’esistente. Se il Pdl fosse stato un partito tradizionale, saremmo andati ad un congresso. Questa è la via politica e non giudiziaria per risolvere i problemi». Perchè non si fa un congresso? «Perchè il Pdl non lo prevede. Ma dovremo trovare formule nuove: è necessario un confronto politico». Un modo per lavare i panni sporchi in famiglia? «È il contrario: è un modo per discuterne seriamente, senza chiudersi nelle stanze chiuse. Ora bisogna costruire momenti in cui la classe dirigente possa discutere…» Non era meglio fare il ministro? «Dal punto di vista della tranquillità della vita, sicuramente sarebbe stata meno impegnativo. Però, per chi come me fa politica e ama fortemente la propria terra, fare il governatore è un dovere e un grande onore». Anche dopo tutto il fango che sta emergendo? «Non nascondo che la vita è difficile. Da noi è più facile conservare, lasciare le cose come sono, non muoverle, andare nel solco della gestione del potere. Una strategia che ha contraddistinto gli ultimi dieci anni del centrosinistra che si saldano perfettamente con il vecchio sistema di potere democristiano. Noi rappresentiamo questo cambiamento, c’è poco da fare».

IL MATTINO del 18 Luglio 2010

ARTICOLI CORRELATI