Altrabenevento. La denuncia della candidata UDC per la presunta corruzione elettorale fa riferimento a fatti gravissimi, anche senza il coinvolgimento dell’assessore Picucci.

 I documenti sulle spese elettorali contengono informazioni interessanti anche per le indagini in corso.

Il Fatto Quotidiano del 6 aprile con l’articolo di Vincenzo Iurillo “A Benevento un voto costa 50 euro”, ha dato notizia di una indagine della Procura della Repubblica su una ipotesi di corruzione elettorale relativa ad un presunto tentativo di acquisto di voti da parte di candidati nella lista UDC per il rinnovo del consiglio comunale di Benevento.

Iurillo, che è giornalista abituato a documentarsi prima di scrivere, è andato ben oltre le solite indiscrezioni-allusioni di qualche cronista o commentatore locale ed ha fornito notizie certe con date e nomi. Una candidata nella lista UDC, l’avv. Donatella Parente, ha presentato il 21 giugno 2016, subito dopo le elezioni, una denuncia con la quale sostiene che il tesoriere di quel partito, Armando Salierno, alla presenza di Oberdan Picucci, anch’egli candidato nella stessa lista e adesso assessore, le avrebbe chiesto soldi per “acquistare” un pacchetto di voti comprensivo del servizio di 30 persone come “rappresentanti di lista” presso i seggi elettorali.

La denunciante aggiunge di non aver aderito alla richiesta del Salierno al quale avrebbe versato solo 750 euro per le spese di partito, e sottolinea che il tesoriere provinciale dell’UdC si vantava di poter disporre di molti voti attraverso il suo CAF (Centro Assistenza Fiscale), dove si facevano anche le riunioni del partito, e la gestione di progetti per i giovani finanziati da Enti Pubblici. Il giornalista de Il Fatto Quotidiano precisa che Salierno conferma di essere indagato mentre Picucci “non ha ricevuto notifiche”.

Nonostante l’assoluta chiarezza e gravità dei fatti esposti nell’articolo del quotidiano nazionale (soprattutto per il riferimento alla utilizzazione strumentale dei progetti a favore dei giovani disoccupati), la discussione in città si concentra solo sull’ipotesi di coinvolgimento dell’assessore Picucci con la disputa tra tifosi “innocentisti” contro i “colpevolisti” alla quale, purtroppo, partecipano anche operatori dell’informazione locale. Per i primi, la denuncia sarebbe tardiva, quindi non credibile, e comunque sarebbe normale pagare i “rappresentanti di lista” che magari spontaneamente, votano per chi li ha incaricati, mentre il fronte avverso sostiene che “comprare” i voti è prassi consolidata e quindi i fatti denunciati potrebbero essere verosimili.

Fuori dai cori dei tifosi contrapposti, la gran parte dei cittadini si mostra scettica sull’azione punitiva della magistratura e quindi rassegnata all’idea che la corruzione elettorale sia inarrestabile. Girano molti soldi per palchi, spettacoli, manifesti, cene o pranzi sociali, spot elettorali e per pagare attacchini, galoppini e controllori dei seggi elettorali.

Eppure, qualcosa si potrebbe fare per arrestare questo gravissimo fenomeno che incide moltissimo sulla elezione e quindi sulla efficacia del governo locale. Ad esempio si possono utilizzare bene alcuni strumenti legislativi, come la legge n.96 del 6 luglio 2016 che obbliga tutti i candidati alla carica di sindaco e di consigliere comunale nei comuni superiori a 15.000 euro, a presentare il rendiconto di tutte le spese sostenute in campagna elettorale precisando se hanno ricevuto contributi o servizi, anche dal proprio partito. La dichiarazione degli eletti va presentata entro tre mesi dalla proclamazione al presidente del consiglio comunale e all’Ufficio Elettorale della Corte di Appello di Napoli utilizzando il modulo predisposto proprio da tale ufficio.

Invece, il sindaco di Benevento e i consiglieri comunali eletti a giugno scorso, hanno presentato al presidente De Minico, la dichiarazione delle sole spese, utilizzando un modello vecchio, fornito erroneamente dalla segreteria generale del Comune, senza indicare eventuali finanziamenti o contributi e la loro provenienza, e senza allegare rendiconti e documenti di spesa. Tali dichiarazioni sono state per un periodo pubblicate sul sito del Comune di Benevento (ad oggi non vi è più traccia) ma essendo incomplete non hanno consentito ai cittadini di sapere da dove arrivano i tanti soldi che circolano durante le campagne elettorali e come vengono effettivamente utilizzati. Questa irregolarità fu segnalata da Altrabenevento con un comunicato del 1° novembre, ma a Palazzo Mosti tutti hanno fatto finta di non aver inteso.

Abbiamo quindi avviato un controllo presso l’Ufficio Elettorale della Corte di Appello di Napoli dove il sindaco e i consiglieri di Benevento hanno presentato (tranne qualcuno) la dichiarazione delle spese e delle entrate utilizzando il modulo corretto, allegando rendiconti e copia dei relativi documenti. L’obbligo riguarda anche i candidati non eletti ma finora, più della metà, cioè 300 su oltre 500, non hanno ancora presentato le dichiarazioni e pertanto rischiano la multa di 25.000 euro.

Sicuramente Mastella e i consiglieri hanno conservato la copia degli atti depositati e adesso dovrebbero renderli noti per consentire, finalmente, a tutti di sapere da dove sono arrivati i soldi e come sono stati spesi in campagna elettorale, come stabilisce la legge 96/2012.

I dati che finora abbiamo potuto analizzare sono davvero interessanti. Ad esempio risulta che la candidata Donatella Parente ha speso appena 2.132 euro e solo per la pubblicità su un giornale. Non sono indicate spese per manifesti, fac simili, bigliettini, volantini ecc. Anche l’attuale assessore Oberdan Picucci, ha dichiarato una spesa irrisoria, addirittura 900 euro. Ambedue i candidati nella lista UdC con la sottoscrizione dell’apposito modulo, hanno dichiarato di non aver ricevuto “contributi o servizi” da altri, neppure dal partito. E allora chi ha pagato la campagna elettorale dell’Unione di Centro di De Mita? Gli altri candidati? Ha pagato tutto il sindaco Mastella?

Altra curiosità: dalla documentazione finora esaminata risulta che nessun candidato ha dichiarato di aver pagato compensi o “rimborsi spese” ai rappresentati di lista. Se, come tutti dicono, la spesa per la gran parte di quel piccolo esercito di quasi tremila persone che frequenta i seggi per controllare la regolarità del voto, è assolutamente legittima, perché non risulta nella documentazione presentata alla Corte di Appello?

Il presidente- Gabriele Corona

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