Prodi affondato, per il Pd le elezioni anticipate non scontate

I voti contrari del trozkista Franco Turigliatto, di Clemente Mastella e Tommaso Barbato (Udeur), dei Liberaldemocratici Lamberto Dini e Giuseppe Scalera (che si è astenuto, ma al Senato l’astensione equivale a un voto negativo) e di Domenico Fisichella, hanno affondato il tentativo del premier Romano Prodi di superare lo scoglio del Senato determinando la fine dell’esperienza di governo dell’Unione. Giulio Andreotti non ha partecipato al voto, assente Sergio Pininfarina, sono cinque i senatori a vita che hanno detto “sì”: Oscar Luigi Scalfaro, Rita Levi Montalcini, Carlo Azeglio Ciampi, Emilio Colombo e Francesco Cossiga. Assente anche il “senador” argentino Luigi Pallaro. I senatori che hanno deciso di voltare le spalle a Prodi hanno tutti certificato la fine di un’esperienza di governo. L’ex Guardasigilli, Clemente Mastella, in particolare, è stato chiaro: “Non ci sono le condizioni per andare avanti” ha sentenziato in aula. “La maggioranza non c’è più, sia politica che numerica. C’è una crisi politica: un partito della maggioranza non c’è più. Un partito che ha garantito la vittoria alla coalizione di centrosinistra alla Camera non c’è più”.Il premier Prodi aveva chiesto, aprendo il dibattito, un “voto esplicito e motivato”. “Nessuno – ha avvertito Prodi – può sottrarsi nel momento in cui si adopera per fare cadere il governo al dovere di indicare nella sede stessa da cui il governo trae la sua legittimazione, quale altro governo, quale altra maggioranza, quale altro programma intende istituire al posto di quello che in conseguenza di una scelta fatta dagli elettori è legittimamente in carica”. Poi ha aggiunto: “Arrestare l’esperienza di questo governo è un lusso che l’Italia non si può permettere”, è necessaria “una continuità di governo perché il paese non può avere un vuoto nella gestione”. Parole che però non hanno convinto chi considera chiusa l’esperienza al governo dell’Unione. Prima di arrivare al voto del Senato, previsto per questa sera alle 20, Prodi ha avuto diversi colloqui con il presidente della Repubblica e sembrava possibile che rassegnasse le dimissioni senza arrivare alla fiducia di Palazzo Madama. Invece ha deciso di andare avanti, non tenendo conto della moral suasion del capo dello Stato. Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato, con il suo intervento ha difeso il Pd dalle accuse degli alleati (ricordando al premier che dal loro gruppo “non è mai venuto né inciampo, né rischio”) e ha accennato al dopo-Prodi, richiamandosi alla necessità delle riforme. Era stato aperto, secondo l’esponente del Pd, “un ragionamento comune su riforme costituzionali, elettorali, regolamentari”, non bisogna lasciare che “questo muoia” è stato l’appello, “non tagliamo questo filo”. Per questo le elezioni anticipate “con questa legge elettorale sarebbero un evento che ci riconsegnerebbe intatta la stessa instabilità, la stessa crisi della decisione politica”. Con Prodi insomma, è il messaggio che viene dal Pd, non è detto che muoia anche la legislatura.(Umberto Di Giacomo)

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