Quarant’anni dopo il terremoto dell’Irpinia: oggi come allora è importante fare presto

Il 23 novembre 1980 alle 19:34 una scossa di terremoto di magnitudo 6.9, con epicentro tra le province di Avellino, Salerno e Potenza, spezzò la quotidianità di larga parte dell’Appennino meridionale provocando circa 3000 morti, 9000 feriti, 300 mila senza tetto e 150 mila abitazioni distrutte oltre interi paesi isolati per giorni. Interi abitati andarono distrutti e molte comunità dovettero pagare un prezzo altissimo.

Da allora sono passati ben quarant’anni. La prima fase in seguito al sisma fu quella più prettamente emergenziale: uno Stato a tratti sorpreso dovette fronteggiare macerie da rimuovere, corpi da sottrarre alla terra, sfollati a cui trovare un riparo, spesso di fortuna. Un commissario per l’emergenza venne indicato solo nel 1982 nella persona di Giuseppe Zamberletti, deputato democristiano che, forte di quell’esperienza e di quella del terremoto nel Friuli di qualche anno prima, gettò le basi per l’istituzione della Protezione Civile, un’organizzazione volta a fronteggiare le situazioni di emergenza, fino ad allora non prevista nel nostro paese.

La fase due di quegli anni fu quella della ricostruzione che, nonostante gli ottimi auspici, ha rivelato tanti esempi di mala gestione e di sperpero del danaro pubblico che ha inondato i territori colpiti dal sisma: infatti se una prima stima dei danni parlava di circa 8.000 miliardi di lire, si calcola che siano stati spesi, complessivamente, circa 66 miliardi di euro. Questa ingente quantità di risorse non ha sempre garantito la rigenerazione di tutti quei territori martoriati mentre ha sicuramente permesso un salto di qualità all’azione delle forze della malavita e delle organizzazioni criminali.

Gli scandali che si sono alternati nel corso degli anni hanno evidenziato una gestione spesso disinvolta degli appalti legati alla ricostruzione per la cui difesa dei principi che avevano alle spalle hanno sacrificato la loro vita amministratori eccellenti come Marcello Torre, allora sindaco di Pagani o come il nostro conterraneo Angelo Biscardi, allora vicesindaco di Sant’Agata de Goti

Nella celebrazione di un evento così drammatico, ci torna alla mente quel “Fate presto” con cui il Mattino titolò una sua prima pagina: si trattava allora di un richiamo alla rapidità degli interventi rivolto alla classe politica dell’epoca. Ma quel titolo torna di stringente attualità anche oggi: infatti in tempo di pandemia diventa indispensabile che lo Stato faccia presto per sostenere coloro che stanno vivendo con maggior sofferenza questa crisi sia sotto il profilo sanitario che sotto il profilo economico. Qualora le Istituzioni dovessero arrivare in ritardo rispetto a tanti aspetti, la corruzione e le infiltrazioni malavitose troverebbero nuovamente, a distanza di tanti anni, occasione per compiere un salto di qualità a spese delle collettività ma soprattutto a spese di tutte quelle persone in difficoltà che oggi aspettano una risposta forte e chiara da parte dello Stato.

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