UE: COLDIRETTI, Masiello: “Il principio di reciprocità su tutti gli accordi commerciali”.

 Stop all’importazione di cibo su cui grava l’accusa di essere ottenuti col lavoro forzato

A seguito dell’accordo raggiunto in sede di trilogo (negoziato interistituzionale informale tra rappresentanti del Parlamento, della Commissione e del consiglio della omunità europea), l’intera filiera agroalimentare italiana rappresentata da Coldiretti, Filiera Italia, Cia, Confapi, Ancc-Coop, Ancd-Conad, Legacoop, Legacoop Agroalimentare, Legacoop Produzione&Servizi, Ue.Coop, Flai Cgil, Fai-Cisl e Uila-Uil continua a sostenere con forza il principio di reciprocità voluto in questa materia da Parlamento europeo e Consiglio.

“Auspichiamo – dichiara Gennarino Masiello, Vice Presidente Nazionale e Presidente Provinciale Coldiretti – che nel negoziato in corso ci possano essere ulteriori scelte a difesa delle imprese europee che evitino l’inquinamento e lo spreco alimentare, come avverrebbe con alcune proposte ora sul tavolo che non tutelano a sufficienza alcuni settori quali l’ortofrutta, una delle voci più importanti del nostro agroalimentare, non solo sannita ma dell’intero Paese”.

Sono stati evitati incomprensibili ed impraticabili decisioni come l’obbligo di riuso delle bottiglie di vino o il divieto dei vasi per le piante dei florovivaisti. “Ci siamo impegnati – avverte – in questi mesi in un intenso lavoro di squadra con gli europarlamentari e il Governo italiano per difendere l’agroalimentare Made in Italy e la salvaguardia di tutte le filiere coinvolte comprese quelle industriali”.

“L’intesa provvisoria raggiunta, pur essendo peggiorativa rispetto alla posizione del Parlamento europeo – aggiunge – rappresenta un passo in avanti sulla proposta iniziale della Commissione che avrebbe avuto un effetto devastante sulle nostre imprese. Auspichiamo che si possano avere ancora miglioramenti validi per il settore dell’ortofrutta in quanto mantenere in capo agli Stati membri la possibilità di concedere deroghe può frantumare il mercato europeo rendendolo ingestibile per chi esporta.  Abbiamo lavorato con convinzione anche per favorire l’utilizzo di bioplastiche totalmente biodegradabili e compostabili, che rappresentano un vero strumento di transizione ecologica e che non sono ancora sufficientemente supportate.

Continuiamo a pensare che dovranno essere valorizzate le esperienze di Paesi come l’Italia che hanno superato l’80% della raccolta e riciclo costituendo dei veri e propri modelli di economia circolare.

Così come era strutturata, la proposta di regolamento della Commissione Ue avrebbe di fatto colpito due dei settori del Made in Italy più esportati come il florovivaismo e  del vino, che è, quest’ultimo in particolare, una delle voci più consistenti del Made in Sannio, con vendite che hanno raggiunto nel 2023, rispettivamente, la quota record di 1,25 e 8 miliardi di euro.

Tuttavia anche sul testo attuale, migliorato pure grazie alla sensibilizzazione fatta dalle associazioni delle imprese e dei produttori del Made in Italy, si lavorerà perché si apportino ulteriori miglioramenti.

Intanto, una battaglia l’ha vinta la Coldiretti e di cui dà conto Masiello: “Dalla passata di pomodoro cinese al riso indiano, fino ai gamberetti tailandesi: sono diversi i cibi che entrano nel nostro Paese su cui grava l’accusa di essere ottenuti dall’utilizzo del lavoro forzato. E’ per questa ragione che riteniamo senza ombra di dubbio importante la decisione dell’Unione Europea di vietare l’accesso al mercato comunitario alle merci ottenute da una moderna forma di schiavitù che coinvolge e mortifica oltre 26 milioni di persone in tutto il mondo, tra cui tanti minori”. Si tratta del primo accordo raggiunto da Parlamento e Consiglio Ue sul regolamento che ne vieta l’immissione e la messa a disposizione sul mercato dell’Unione.

L’intesa introduce modifiche significative alla proposta originaria, chiarendo le responsabilità della Commissione e delle autorità nazionali competenti nel processo investigativo e decisionale. La decisione finale (cioè vietare, ritirare e smaltire un prodotto realizzato con lavoro forzato) sarà presa dall’autorità che ha condotto l’indagine. Nel caso in cui la decisione sia presa da un’autorità nazionale si applicherà in tutti gli altri Stati membri sulla base del principio del reciproco riconoscimento.

Intanto – aggiunge Masiello – c’è da denunciare ancora una volta che la concorrenza sleale danneggia la nostra agricoltura”. Secondo l’analisi dell’ufficio studi della Coldiretti sui dati del Dipartimento del lavoro Usa, tra i prodotti agroalimentari coltivati o trasformati grazie al lavoro forzato di adulti e bambini ci sono anche peperoncini dal Messico, riso dal Mali, castagne dal Perù, pesce dalla Thailandia, dall’Indonesia e dalla Cina, canna da zucchero dal Brasile.

“Abbiamo più volte sollecitato l’Unione Europea a bloccare le importazioni di prodotti alimentari ottenuti dallo sfruttamento” afferma il Presidente Nazionale Coldiretti Ettore Prandini sottolineando la necessità che “dietro tutti i cibi che arrivano sulle tavole ci sia un percorso di qualità che riguarda la tutela dei minori, oltre che del lavoro, dell’ambiente e della salute. Facendo valere il principio di reciprocità su tutti gli accordi commerciali”.

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